Qui si rinarra l’impresa del cavalier Meschino

Torna in edizione critica il romanzo cavalleresco del cantastorie Andrea da Barberino. Un’epopea lunga 600 anni

Chi non ha mai sentito parlare di Guerrin Meschino? Una volta, soprattutto, il suo nome era popolare. Lo si vedeva combattere, fra altri paladini, nei teatrini dei pupi siciliani. Gli emigranti che andavano in America, quelli che sapevano leggere, si portavano dietro, per ingannare il tempo nelle lunghe traversate sui piroscafi transoceanici, il racconto della sua storia. I bambini del tempo di guerra ritrovavano le sue avventure, rinarrate da Diego Valeri, nell’edizione pubblicata nel 1932 nella gloriosa collana infantile della «Scala d’oro». Mentre qualche bambino dei decenni seguenti si sarà magari accontentato della versione parodistica sfornata dalla Disney, Il Paperin Meschino.
Già, ma chi era davvero il prode Guerrin, detto il Meschino? Non tutti lo sanno, ma era in origine il protagonista di un romanzo cavalleresco del Quattrocento, scritto da Andrea da Barberino (Firenze, 1370 ca. - 1432 ca.). Libro introvabile, che ora viene pubblicato dall’editore Antenore (pagg. 704, euro 68) in un’edizione critica curata da Marco Cursietti. È la riscoperta di un testo più citato che letto, e ormai ignoto ai più. Un mirabolante romanzo di avventura che narra il viaggio del cavaliere Guerrino, discendente dai Reali di Francia, alla ricerca della sua origine e dell’identità di suo padre. Un viaggio che, come recita il prologo di Andrea da Barberino, tocca «tutte e tre le parti del mondo: ciò è Asia, Africa e Utopia», e poi tratta degli Alberi del Sole e della Luna, del Pozzo di San Patrizio, del Prete Gianni, della Sibilla, di Gog e Magog. Un repertorio, insomma, di tutte le leggende più popolari della tradizione medievale. Un mondo fantastico, un inventario di meraviglie e di mostri, dove il picaresco Meschino compie la sua giostra d’armi.
Davvero un testo singolare, il Guerrin Meschino (composto attorno al 1410). Come singolare era il suo autore, Andrea da Barberino. Uno che, oltre a scrivere romanzi cavallereschi e d’avventura, come il suo secondo grande successo, I Reali di Francia, faceva il cantastorie nella piazza fiorentina di San Martino al Vescovo. Un campione della letteratura popolare, ma anche volgarizzatore delle Vite parallele di Plutarco. E, a modo suo, erede di quel grande testo, al tempo stesso popolare e sublime, amato dal colto come dall’inclito, che era la Divina Commedia dantesca, non a caso imitata in più parti del romanzo. Infatti anche Guerrino vive la sua discesa all’inferno, e vaga tra i peccatori, conoscendo le diverse forme di supplizi e punizioni. Fino ad avere la visione di Lucifero: un mostro con sei corna, sei ali, sette serpenti intorno al collo e tre facce (una nera, una gialla e la terza mezza nera e mezza gialla). È ancora, per certi versi, il mondo delle cattedrali romaniche e gotiche, delle creature fantastiche sugli archi o sui doccioni delle chiese. Ma c’è anche l’eredità di una tradizione romanzesca che arriva direttamente dal mondo antico. Il percorso del Guerrino si incrocia con quello di Alessandro il Magno. Ed egli esibisce il suo valore di paladino negli stessi scenari che videro l’avventura del conquistatore macedone: la Persia, l’India. Del resto, già Alessandro era divenuto eroe immaginario di avventure fantastiche, come testimoniano le numerose redazioni, in tutto il mondo, del Romanzo di Alessandro. Ma nei pellegrinaggi di Guerrino c’è anche la traccia di quella scoperta dell’Oriente che era stata già narrata, per esempio, da Marco Polo nel suo Milione. C’è l’oro e la porpora di Bisanzio, la visita alla «falsa chiesa» di Maometto, e l’incontro con il leggendario Prete Gianni, una delle figure più curiose dell’immaginario medievale. La lettera del Prete Gianni all’imperatore bizantino Manuele Comneno, divulgata a partire dal XII secolo, raccontava del misterioso regno che questo personaggio avrebbe costruito in Asia. Da allora non ci fu viaggiatore nelle terre d’Oriente che non parlasse anche del Prete Gianni, il cui regno peraltro si spostava in continuazione (Andrea da Barberino, anziché in India, dove di solito era collocato, lo pone in Etiopia). Né mancano ovviamente le imprese erotiche che Guerrino affronta con la stessa ingenua baldanza con cui scende in campo a guerreggiare. Come scrive Mario Cursietti nell’introduzione: «Guerrino è di volta in volta, nel vertiginoso susseguirsi delle sue avventure, il doppio dei protagonisti delle principali epopee leggendarie consegnate dalla tradizione storico-letteraria occidentale: è Ulisse, in cerca di un’Itaca non ancora individuabile; Alessandro Magno, lanciato verso la conquista dell’Oriente ignoto, popolato di mostri; Carlo Magno, paladino della civitas cristiana contro le orde musulmane». È anche per questa ricchezza di riferimenti, per essere il deposito di tutte le avventure possibili, oltre che per la semplicità dello stile, che il Guerrin Meschino è rimasto, per secoli il libro di lettura degli illetterati. Manzoni nei Promessi sposi, citando l’unico popolano acculturato del suo romanzo, il sarto del villaggio, lo descrive così: «Un uomo che sapeva leggere, che aveva letto in fatti più d’una volta il Leggendario de’ Santi, il Guerrin meschino e i Reali di Francia, e passava, in quelle parti, per un uomo di talento e di scienza». Una biblioteca, dunque, fatta di tre soli libri, dei quali ben due appartenevano appunto alla penna di Andrea de Barberino (il terzo invece era un libro altrettanto popolare: la Leggenda Aurea di Jacopo da Varagine). Mentre al giovane Rico, in Malombra di Fogazzaro, resta in appannaggio il solo Guerrin Meschino, «principio e fine della biblioteca di famiglia».
E fu così che, unico libro presente nelle case della gente semplice, il Guerrin Meschino divenne un mito popolare. Anche lo scrittore siciliano Gesualdo Bufalino racconterà di nuovo le gesta dell’eroe in suo libro.

Seguendo il filo dei suoi stessi ricordi d’infanzia, la suggestione delle immagini di paladini e di guerrieri che ornavano le sponde dei carretti siciliani, l’epopea dei duelli e degli amori ricreati nell’angusto palcoscenico del teatro dei pupi, sarà la figura di Guerrin Meschino quella che gli si staglierà nella mente, immagine indelebile di un’infanzia perduta.

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