Raccontare Napoli con lingua e occhi da tragedia greca

Napoli è un’altra storia. Valeria Parrella fuma distratta appoggiata alle vetrine di una grande libreria. Milano è una galleria dove il sole entra di sbieco e i turisti cercano un passaggio tra il Duomo e la Scala. È un pomeriggio di settembre e la ragazza napoletana con lo sguardo e i riccioli scuri di Cassandra ti parla di una città, dei suoi eroi bastardi, dei miserabili con la sorte segnata, di gente che ha studiato e non sa più vedere, di gente ricca che alza le spalle e tira dritto, di poliziotti senza divisa e ragazzotti con il ferro carico appoggiato alla sella del motorino, di vicoli dove legge e disordine, bello e brutto, non hanno confini, come se il mare avesse spazzato via le linee sulla sabbia, lasciando solo il ricordo di certe zone e di certi quartieri, ormai tutti marci nella stessa acqua: il Vomero e Forcella, Posillipo e Ponticelli, alti e bassi, quasi che Napoli davvero finisse o cominciasse a Scampia. Ed è un peccato, pensi, che tutte queste parole cadano qui nelle geometrie di Milano, dove ogni strada è un senso unico. Ma Valeria si muove come in teatro e disegna maschere di bronzo.
Il Verdetto (Bompiani, pagg. 53, euro 11) è anche una storia di camorra. Solo che i nomi vengono da lontano. C’è una giovane donna davanti ai suoi giudici. Si chiama Clitemnestra e viene da uno di quei quartieri dove la miseria entra solo per sbaglio. È una che ha studiato. Ma ha amato e sposato un re della camorra, arrogante e spavaldo come il suo nome: Agamennone. Un uomo che ha vissuto e ha sparato. Uno che l’ha resa regina, conquistato dalle sue mani e da quel modo di parlare bello: «Tu non dici niente di strano, ma è comm’o ddici che mi fa impazzì. Uno che ha sacrificato la figlia, Ifigenia, a non si sa quale dio. E ha ammazzato, stuprato e avvelenato, da tiranno e con tutta la tracotanza degli eroi achei. Ed è fuggito in esilio. Dieci anni, quanto una guerra di Troia, per poi ripresentarsi con il suo bottino di ori e immunità, e una femmina e una figlia bastarda al seguito. Clitemnestra l’ha guardato e ha ammazzato i suoi occhi. E ai giudici ha detto: «Uccidendo mio marito, il mio signore, il mio uomo, quello che mi muoveva le notti e le giornate \ Uccidendo Agamennone ho versato il mio sangue, perché è a me che ho tolto la vita. Ecco tutto, il mio sangue».
Archetipi. Valeria Parrella racconta la camorra con la lingua e lo sguardo della tragedia. Ma non la redime. La letteratura, i classici, non lavano Napoli. Questa ragazza di 33 anni, con un marito umbro e un figlio nato da poco, usa gli eroi d’Omero per spiegare, interpretare, volti, affari, ambizioni, destini, ventri, pance, mani, sorrisi, lacrime e impunità dei malacarne, di questa gente vascia che ha trovato fortuna e identità nell’altra legge. Omero lo sapeva. Gli eroi achei sono tutti bastardi, malfattori, senza etica e senza umanità. Nessuno di loro si salva. Achille è un pazzo colmo d’ira. Ulisse un farabutto che non ha pietà neppure dei suoi compagni d’avventura. Diomede un mostro di cattiveria. Menelao un inetto possessivo. E il peggiore di tutti è Agamennone: tracotante, vigliacco, avido, uno che non esita a strappare la schiava ad Achille frantumando buon senso e antiche usanze. La guerra di Troia è uno sgarro di femmina e le mura costruite da Poseidone e Apollo cadono per l’arguzia, tutta partenopea, di un camorrista di rango. Sei anni fa, in fondo, Antonio Capuano girò un film con Licia Maglietta e Toni Servillo. Titolo: Luna rossa. E qui odi e amori della camorra seguivano le trame del mito di Oreste. La tragedia spiega. La tragedia interpreta. La tragedia racconta il presente.
Valeria è figlia di questa tragedia. È la sua condanna. Gli archetipi le hanno offerto la «vista» che non è sempre un bene. Lei vede ciò che tanti, per quieto vivere, cercano di dimenticare. La camorra ti arriva in faccia. E l’unico modo per non farci caso è abbassare la testa. La incontri nei negozi super accessoriati, in vie dove si smercia solo la povertà, e tu ti chiedi: ma chi compra questa roba? È la risposta è solo «copertura». Qui non si fanno affari, ma si lavano i soldi. La camorra la incontri ai funerali. Valeria racconta: «Io abito in via Duomo. Napoli buona, Napoli tranquilla. Eppure dal mio balcone ho visto i funerali della cognata di Giuseppe Misso, detto O’nasone, boss storico del rione Sanità. C’erano gli otto cavalli bordati di nero, le saracinesche abbassate per paura e per rispetto e un corteo di ragazzini che sfilava, come servizio d’ordine, sui motorini: una mano sul manubrio e l’altra con la pistola. Questo è il potere degli impunibili. Adolescenti con la pistola e neppure un vigile a chiedere il porto d’armi.

Tutto alla luce del sole. Senza stupore e senza legge».
Valeria Parrella non lascerà mai Napoli. È una città irriducibile, ma senza fuga. Clitemnestra dice: «La mia terra non giustifica, signori della corte, di esserci nato dentro».

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