Due visioni del mondo che si scontrano. La tradizione occidentale che poggia sulle spalle antiche duemila anni di Roma e l'ideologia comunista che arriva, tornante dopo tornante, dalle riflessioni di Hegel. Due interpretazioni della realtà che si confrontano nel 1947 nei lavori della Costituente: si parte da Cicerone, ma si arriva all'articolo 29 della Carta fondamentale dell'Italia repubblicana, quello che definisce la famiglia. Di qua Camillo Corsanego, e con lui Giorgio La Pira, di là Nilde Iotti. Settantacinque anni dopo, Giuseppe Valditara, da pochi giorni ministro dell'istruzione e, se ci riuscirà, del merito ricostruisce quelle battaglie e quelle discussioni in un libro denso e affascinante: Alle Radici romane della Costituzione (pagg. 224, euro 22,80) appena pubblicato da Guerini E Associati.
Corsanego mette le mani avanti: «La famiglia preesiste allo Stato, il quale non crea, ma ne riconosce e regola i diritti innati e inalienabili». Ecco, dunque la formulazione proposta dell'articolo : «Lo Stato riconosce la famiglia come la unità naturale e fondamentale della società, con i suoi diritti originari inalienabili e imprescrittibili concernenti la sua costituzione, la sua finalità e la sua difesa».
«Se la famiglia è un organismo naturale - spiega La Pira nella seduta pomeridiana dell'Assemblea dell'11 marzo 1947 - allora è evidente che la Costituzione, veste del corpo sociale, deve parlare della famiglia. Quando infatti si dice organismo naturale traducendo quel termine tecnico latino che è la societas naturalis, si vuole intendere un organismo di diritto naturale... E lo Stato deve fare una una sola cosa: riconoscere questi diritti connaturati all'uomo e proteggerli».
É quel che accade poi con la stesura definitiva dell'articolo 29: «Dalla tradizione romana - annota Valditara - deriva dunque la definizione della famiglia come società naturale, societas naturalis; da Cicerone proviene la concezione della famiglia come fondamento della repubblica, seminarium rei publicae. Questa è la linea vincente, poi però in quell'aula viene introdotto un testo alternativo che accartoccia l'eredità classica e cristiana, virando verso l'utopia sovietica: «Lo Stato - scandisce Nilde Iotti, compagna di Palmiro Togliatti e futura presidente della Camera - riconosce e tutela la famiglia, quale fondamento della prosperità materiale e morale dei cittadini della Nazione».
«Nella proposta comunista - commenta Valditara, qui professore di diritto romano - la famiglia non appare come una societas naturalis bensì come semplice fondamento della prosperità della Nazione. Non vi è alcun richiamo alla concezione romana così come presupposta da La Pira. Nulla si dice del suo carattere originario, ci si limita a registrarne la funzionalità al benessere nazionale».
Insomma, c'è anche Cicerone dietro l'articolo 29 e tanti passaggi della Costituzione, ma avrebbe potuto esserci Stalin, sia pure in una versione temperata. E Togliatti si prende una mezza rivincita quando si affronta il tema incandescente della libertà, fissata all'articolo 125 della Carta sovietica. Qui La Pira, figura complessa e articolata, subisce come Giuseppe Dossetti le suggestioni che arrivano da Botteghe Oscure. per la Pira infatti la libertà deve essere esercitata «in armonia con le esigenze del bene comune». Qualcosa che apparente il suo pensiero a quello del segretario comunista che ancora la libertà «al continuo incremento della solidarietà sociale».
Così La Pira butta alle ortiche la classicità e sposa l'idea del Pci.
È l'illusione del paradiso in terra che porta dritti all'inferno.
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