Raffaello e la bellezza dell’Universo

I dipinti arrivano anche dal Louvre e dalla National Gallery

Raffaello e la bellezza dell’Universo

Nica Fiori

Nessun artista è stato mai così universalmente amato come Raffaello, forse perché la sua pittura squisitamente naturale, serena, comprensibile, incarna ancora oggi quell’ideale di bellezza rinascimentale che vuole rispecchiare nella figura umana la perfezione della bellezza dell’universo. La straordinaria mostra della Galleria Borghese «Raffaello. Da Firenze a Roma» (da oggi fino al 27 agosto), curata dalla direttrice Anna Coliva (catalogo Skirà), analizza la produzione pittorica di Raffaello Sanzio tra il 1505 e il 1508, quando il promettente pittore di Urbino, attirato dal genio artistico di Leonardo e Michelangelo, si stabilisce nella città toscana, dove inizia quel rivoluzionario passaggio dalla impostazione compositiva tradizionale alla concezione dinamica dello spazio che caratterizzerà gli affreschi delle Stanze vaticane. Questa è la prima di una serie di dieci grandi mostre da realizzare in dieci anni, imperniate ciascuna su un artista di cui la Borghese conserva un capolavoro inamovibile. In questo caso si tratta della grande «Deposizione», di recente restaurata con esiti sorprendenti, alla quale vengono accostate altre opere provenienti dalla stessa Galleria e dai più importanti musei internazionali per un totale di sessanta fra tavole e disegni (per un valore assicurativo di un miliardo di euro).
Per la prima volta sono esposti a Roma capolavori come la «Bella Giardiniera» del Louvre, dalla leonardesca struttura piramidale, la «Sacra famiglia con l’agnello» del Prado, la «Madonna Colonna» della Gemaeldegalerie di Berlino, la «Madonna Esterházy» di Budapest, il «Sogno del cavaliere» e la «Madonna Aldobrandini» della National gallery di Londra, tutte opere dello stesso fervido periodo in cui elabora alcuni temi, come il ritratto o la sacra famiglia, approfondendoli in una continua e sempre nuova serie di versioni.
La drammatica «Deposizione», particolarmente emblematica per cogliere l’evoluzione dalla maniera del Perugino, come si vede nei disegni preparatori, a quella ispirata alla classicità romana (rilievi con il trasporto di Meleagro) e alla plasticità michelangiolesca, è un olio su tavola raffigurante il trasporto di Cristo nel sepolcro. La pala, commissionata da Atalanta Baglioni in memoria del figlio ucciso nelle lotte per la signoria di Perugia, venne collocata nella cappella di famiglia di San Francesco a Prato nel 1507, ma fu trafugata nel 1608 da Scipione Borghese e portata allo zio Paolo V, che la donò ufficialmente al nipote. Nulla poterono i perugini contro il potere del papa, che per risarcirli mandò loro una copia del dipinto. Non c’è da meravigliarsi se in seguito Napoleone Bonaparte, a sua volta invaghito dell’opera, se la portò al Louvre, da dove ritornò alla Galleria Borghese nel 1816, mentre la predella con le Virtù teologali, ora ricostituita nella mostra, andò ai Musei Vaticani. La «Dama col liocorno» (1507), della stessa Galleria, è un’opera complessa ed enigmatica, che ha subito nel tempo diverse modifiche e restauri. Il liocorno, emblema di castità, si è sovrapposto a un precedente cagnolino, simbolo di fedeltà, che è comunque un’aggiunta successiva rispetto al disegno di Raffaello. Anche la celebre «Fornarina» di Palazzo Barberini, pur essendo più tarda, è in mostra per ribadire il miracolo di quella sottile malìa espressa nei ritratti femminili, che denota forse la sua passione per una donna reale.

In questo caso, infatti, il braccialetto con la scritta «Raphael Urbinas» fa pensare, più che a un semplice autografo, ad una dichiarazione di possesso, da parte dell’autore, della giovane raffigurata.
Orario: 9-19 (chiuso il lunedì). Prenotazione obbligatoria: tel. 06-32810; www.ticketteria.it

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