Raicinema: «Il Lido danneggia i nostri film»

Caterina D’Amico: «Spesso i registi vengono crocifissi». Vicari, l’escluso: «Mica mi uccido»

da Roma

La Mostra porta fortuna o disgrazia ai film italiani in gara? Vai a saperlo. Ogni anno, puoi giurarci, una selva di fischi e «buuu!» si accanisce su qualcuno dei nostri e il dibattito si riaccende. Certo, il Lido dà lustro e visibilità, compiace la vanità del regista, alimenta le speranze di produttore e distributore. Ma può rivelarsi anche un boomerang letale. Ne sanno qualcosa i tre giovani cineasti italiani - Marra, Porporati e Franchi - usciti piuttosto acciaccati da Venezia 2007. Quest’anno vedremo. Il quartetto selezionato dopo serrato confronto, con inserimento in extremis dell’outsider Pappi Corsicato, sulla carta funziona. Difficile che i film di Ozpetek, Avati e Bechis, pur nella diversità degli stili e delle sensibilità, suscitino reazioni così accese, stroncatorie. E tuttavia c’è chi, pur partecipando alla partita nella speranza di portare a casa un Leone d’oro, continua a nutrire dubbi su questa sorta di «frenesia veneziana».
Prendete Caterina d’Amico, amministratore delegato di Raicinema. Da Un giorno perfetto a La terra degli uomini rossi, passando per Pa-ra-da di Marco Pontecorvo preso per Orizzonti, sono parecchi i film targati Rai. Eppure... «Guardi, io rispetto il parere e il desiderio degli autori, ci mancherebbe. Tutti tengono molto ad andare a Venezia. Li capisco. Ma so anche, per esperienza, che i nostri film talvolta vengono mandati al macello. Lo ripeto da sempre, inesorabilmente. Ho amici che sono stati crocifissi al Lido. Senza motivo. Per questo, fino all’ultimo, io me ne sono stata qui tranquilla, quasi atarassica, ad attendere le decisioni di Müller e della sua commissione». E quindi... «Quindi sono contenta per Ozpetek, ritengo il suo film molto bello e toccante, dotato di forte appeal commerciale. Ma, se me lo chiede, penso che sarebbe benissimo potuto uscire più in là, magari a ottobre, rinunciando al sostegno di una vetrina pure prestigiosa come Venezia».
Al Festival di Roma (ex Festa) debutterà invece Il passato è una terra straniera di Daniele Vicari, con Elio Germano, dal romanzo di Carofiglio. Probabilmente in concorso. Anche Vicari mirava alla Mostra. Fino all’ultimo, pare, il suo film è rimasto in lizza. Oggi, smaltita la delusione, riflette: «Sono convinto che siano i film a servire ai festival e non viceversa. In ogni caso, se fosse vero ciò che sostiene Caterina, Raicinema e Medusa non si contenderebbero gli spazi con tanta determinazione. Detto questo, io non mi lamento. Il mio film esce il 31 ottobre, il giorno in cui è nata mia figlia, Raicinema vuole puntarci». Tuttavia il no di Venezia gli è rimasto un po’ lì. «Nonostante le crudezze, le lobby e gli sfottò possibili, il cinema è una forma d’espressione popolare, deve confrontarsi con l’arena, questa cosa un po’ animalesca mi piace. Se il percorso di un film si blocca a causa di qualche fischio significa che l’apparato produttivo e distributivo è debole».

Vicari non crede, insomma, alla maledizione veneziana. «La verità? Ho esordito al Lido con Velocità massima, il documentario Il mio Paese è molto piaciuto. Era più una cosa affettiva. Ma mica mi suicido perché l’hanno scartato». Ci mancherebbe.

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