A trentasette anni dal primo capitolo (dal titolo originale "First Blood"), la saga di Rambo potrebbe avere il suo epilogo in "Rambo - Last Blood". Il condizionale è d'obbligo perché al botteghino non si comanda e il settantatreenne Stallone non esclude, in caso di lauti incassi, di andare avanti.
Questa quinta avventura vede il reduce di guerra John Rambo (Stallone) appesantito nel cuore e nei movimenti da anni trascorsi senza aver mai fatto pace con i traumi subiti. Ritiratosi a vita privata in Arizona, l'uomo vive nel ranch di famiglia allevando cavalli, pulendo stalle e riparando staccionate ma la sua è una tranquillità di superficie. Quando può fugge sottoterra, dove ha scavato un labirintico complesso di cunicoli e si diletta nell'accumulo di un arsenale bellico. Vive con una domestica, Maria (Adriana Barraza), e la nipote di quest'ultima, Gabrielle (Yvette Monreal). Il giorno in cui la ragazzina, che per Rambo è come una figlia, decide di andare in Messico alla ricerca del padre che l’ha abbandonata, la disgrazia è dietro l'angolo: finisce rapita da criminali che fanno affari con la prostituzione. Sarà il casus belli che porterà Rambo a tornare a essere la spietata macchina omicida che è sempre stata.
Inutile girarci attorno. Una saga iconica come questa meritava un finale più affascinante e strutturato, anziché un action di media qualità e con tanto di deriva splatter compiaciuta. Ciò detto, "Rambo - Last Blood" resta godibile in linea generale e addirittura galvanizzante se lo spettatore è un fan del personaggio. Non può esserci, infatti, autentica delusione di fronte a uno Sly che superati i settanta si mette in gioco col corpo e con l'anima per tenere vivo il mito dell'indomito guerrigliero cui il destino preclude la pace, dentro e fuori. Pazienza se il film non è certo originale o degno di particolare nota, preso com'è dall'inanellare un incredibile numero di déjà vu riconducibili a prodotti in stile "Io vi troverò". E' lecito che lo scrittore del romanzo originale da cui nacque la serie cinematografica possa vergognarsi di vedere il suo nome associato all'opera, così com'è facile ammettere che la regia sia sciatta e ci siano problemi di ritmo (l'inizio è fin troppo lento). Eppure questo Rambo invecchiato e dalla sensibilità più matura non lascia indifferenti. Su Rocky, ex campione diventato mentore, l'intento revisionista si è dimostrato cinematograficamente più efficace, ma anche il candore con cui John Rambo ammette di essere restato lo stesso (“non sono cambiato, cerco di contenermi”) ha una sua indubbia seduzione. Al fisiologico attutirsi dell'agilità fisica, la lotta si fa più mentale e l'afflato emotivo verso la casa mai raggiunta ma sempre desiderata è più che mai protagonista in questo episodio: perché la dimora di quest'uomo non è il suo ranch ma il suo cuore, un luogo sacro che è violato e distrutto nel momento in cui viene strappata via l'unica persona che lo abita, l'innocente e giovane Gabrielle.
In "Rambo - Last Blood" le tattiche e l'intuito del guerrigliero hanno per antagonista una criminalità messicana tratteggiata in modo a dir poco bidimensionale. Si potrebbe voler cogliere in questa scelta di sceneggiatura un sottotesto politico trumpiano, ma è più probabile che siamo soltanto di fronte a un action che affonda le proprie radici in rodatissimi cliché di genere. Le uccisioni sono brutali in modo quasi parodistico e il finale è un trionfo di splatter crudo e divertente, in puro spirito da cinema di serie B.
Non c'è volontà di approfondire la psiche di un sopravvissuto, quanto di intrattenere giocando sul fatto che Stallone, presso i suoi fan, abbia un carisma
che vince anche sulla sua sempre più marcata inespressività. Sui titoli di coda scorrono immagini salienti tratte da tutti i film della saga e indubbiamente rivederle nelle dimensioni del grande schermo è un tuffo al cuore.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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