Recitò per Monicelli

«Femmina piccante, pigliala per amante. Femmina cuciniera, pigliala per mugliera!», scandiva Ferribotte, alias Tiberio Murgia, nei Soliti ignoti di Mario Monicelli (1958). L’accento siciliano, versione catanese, non era suo, ma del doppiatore Renato Cominetti. Quello di Murgia, morto l’altroieri a ottantuno anni, era di Oristano. Ed è stato Sergio Naitza, del quotidiano l’Unione Sarda, a rendere nota la scomparsa, restituendo per un giorno solo alla sua terra questo piccolo attore, che ora nel ricordo s’affianca a quello grande: Amedeo Nazzari.
Nato nel 1929, militante comunista nel dopoguerra, allievo della scuola di partito alle Frattocchie che ne forgiava i dirigenti, Murgia scontò il perbenismo anche dell’estrema sinistra del tempo, che vedeva negli amori non coniugali una deviazione borghese. Si allontanò quindi dal Pci, si stabilì a Roma e divenne un «caporale»: ingaggiava cioè per conto terzi donne di servizio. Fu notato dalla questura, ma soprattutto da Mario Monicelli, che gli affidò nel suo film migliore il ruolo del siciliano, fratello di un’altra esordiente (siciliana di Tunisia): Claudia Cardinale. I film successivi di Murgia sarebbero stati centocinquanta, quasi sempre in parti marginali ma incisive. Ne aveva una così anche nell’Onorata società di Riccardo Pazzaglia, che verrà riproposto a giorni alla Mostra di Venezia nella retrospettiva della commedia italiana. Ma già lì il vessillo della sicilianità gli era strappato da Franco Franchi e Ciccio Ingrassia, che non avrebbero fatto il salto dall’avanspettacolo al cinema senza il previo successo di Murgia. E poi ci fu Giancarlo Giannini a «rubargli» il personaggio in Mimì metallurgico e Travolti da un insolito destino della Wertmüller.
Baffo sottile, chioma lucida di brillantina, colorito olivastro, tratti mediterranei, il volto di Murgia ha campeggiato nel cinema italiano non nel periodo della liberazione dal fascismo, ma in quello della liberazione sessuale. Più di Lando Buzzanca, lui sì siciliano, è stato Murgia a incarnare il retrivo per eccellenza nel ventennio in cui la «pillola» liquidava secoli e secoli di cristianesimo. Il residuo baluardo della verginità delle donne italiane, già intaccato dalla guerra e dall’occupazione straniera, restava affidato non a una di loro, ma al personaggio di Murgia, chiamato a impersonare la logica del «tutte puttane tranne mia madre, mia sorella». Il che non significava, ovviamente, che lui ci credesse. E nemmeno che gli piacesse identificarsi con le retroguardie. Anzi, aveva saputo ridere del suo ruolo e impersonare anche l’alter ego del moralista, cioè il corruttore a man salva, come in Paradiso andata e ritorno, unico episodio guardabile della Liceale, il diavolo e l’acquasanta di Nando Cicero. Qui in cambio di un lavoro - ma non di donna di servizio - chiedeva a Gloria Guida un «compromesso», che lei, o meglio il suo personaggio, non avrebbe disdegnato, senza l’intervento dell’angelo custode.

Del resto erano passati più di vent’anni dai Soliti ignoti e la saggezza insulare di Ferribotte era stata corretta dall’opinione corrente, già pesantemente influenzata dalle tv commerciali e da programmi significativi - come La bustarella di Antenna 3 - in «Femmina piccante, pigliala per badante. Femmina cuciniera, pigliala per cameriera».

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