Pier Luigi Bersani finge di non saperlo, e per continuare la parte in commedia di certo andrà avanti un altro po’ a protestare sdegnato contro lo «scippo del referendum»: ma per la sinistra riformista, e in generale per chi crede a un’alternativa liberale e modernizzatrice a Berlusconi, lo smantellamento dei referendum di giugno è un’ottima notizia. Senza volerlo, e di certo per tutt’altri motivi, il governo ha tolto il Pd non soltanto dall’imbarazzo di doversi schierare in modo univoco su tre questioni che lo vedono diviso, ma anche, e soprattutto, dal vicolo cieco politico in cui i promotori delle consultazioni popolari l’avevano spinto senza neppure troppe difficoltà.
Per capire che cosa è successo (e che cosa succederà) è necessaria una premessa fondamentale: il referendum, così come funziona oggi in Italia, si regge su un doppio imbroglio. Da un lato, ha smesso di essere semplicemente abrogativo (come prevede la Costituzione) per diventare di fatto uno strumento improprio di legiferazione; dall’altro lato, la vera campagna elettorale non si combatte sul merito dei quesiti, ma sul quorum: il gioco consiste cioè nel convincere la gente ad andare ai seggi, o a disertarli.
Con il candore che fa tanto imbestialire qualche suo avversario, Silvio Berlusconi ha spiegato che la sospensione del programma nucleare italiano è soltanto un escamotage per far saltare il referendum e rinviare la scelta di un paio d’anni, quando l’enorme impressione suscitata dall’incidente di Fukushima sarà stata assorbita dall’opinione pubblica. Apriti cielo! In realtà, il presidente del Consiglio ha semplicemente detto a voce alta, rovesciandone il segno, ciò che i referendari, sfregandosi soddisfatti le mani, andavano ripetendo da settimane: questa volta il quorum c’è, e i referendum si vincono, perché la gente è terrorizzata da Fukushima. Dunque è vero che si sarebbe votato con l’emozione e non con la ragione.
Ma se salta il quesito antinucleare, l’intero dispositivo referendario rischia di naufragare sotto l’asticella del quorum: il legittimo impedimento (peraltro già ampiamente neutralizzato dalla Consulta) e l’acqua pubblica (cioè lottizzata) potrebbero non bastare a sottrarre la metà più uno degli italiani a un meritato weekend di fine giugno. E il fronte referendario subirebbe una definitiva sconfitta.
Perché questa è una buona notizia per il Pd? Il referendum uno e trino - ecofondamentalista, giustizialista e statalista - avrebbe dovuto essere il punto culminante della mobilitazione antiberlusconiana ravvivatasi all’indomani della scissione di Fini e dell’apertura a Milano dell’ultima inchiesta su Berlusconi. Dopo le manifestazioni e le raccolte di firme, dopo gli appelli e le campagne mediatiche, finalmente un voto popolare avrebbe certificato l’esistenza di una maggioranza politica alternativa. Il referendum avrebbe saldato con il suo successo i partiti, i gruppi e le correnti più radicali e, insieme, più conservatrici, da Sinistra e libertà all’Italia dei valori, da Grillo alla Cgil, dal popolo viola ai centri sociali ad Annozero. Forte della vittoria di giugno, la galassia radicale avrebbe lanciato l’Opa definitiva sul Pd, eventualmente certificata dalla vittoria di Vendola alle primarie.
Il Partito democratico non ha mai sciolto le sue ambiguità in tema di alleanze, di identità politica e culturale, di progetto per l’Italia: e probabilmente è questa la radice delle sue difficoltà.
Timoroso di dire «no» ai referendum per non inimicarsi dipietrini e vendoliani, il Pd si sarebbe ritrovato loro ostaggio, nonostante molti democrat credano che il nucleare non vada demonizzato, ma reso sicuro; che un maggior equilibrio fra politica e magistratura sia un bene per tutti; che l’acqua debba costare poco e non andare sprecata, indipendentemente da chi la gestisce. Berlusconi ha fatto un gran favore a Bersani, azzoppando l’ala sinistra (in tutti i sensi) dello schieramento di opposizione. Difficile che il segretario del Pd ringrazi: speriamo però che ne approfitti.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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