Secondo le statistiche dell'Odihr, l'Ufficio per le istituzioni democratiche e i diritti umani dell'Osce (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa), nel 2017 in Italia sono stati denunciati alle forze dell'ordine 1.048 «hate crimes», cioè crimini d'odio. Il fenomeno è in crescita: erano 472 nel 2013 e sono saliti anno dopo anno. La stessa fonte registra per lo stesso anno 7.913 denunce in Germania, 2.073 in Canada, 1.505 in Francia, 1.497 in Finlandia, 8.437 negli Stati Uniti e addirittura 95.552 nel Regno Unito. E saremmo noi il Paese degli odiatori?
Presentare gli italiani come un popolo di livorosi, razzisti e nostalgici dell'uomo forte è uno dei cavalli di battaglia della sinistra intellettuale del nostro Paese. Uno degli ultimi numeri del settimanale L'Espresso presenta un «Ritratto dell'odiatore seriale su Facebook». Esso contiene un campionario degli insulti contenuti sul più famoso social network per dimostrare che la violenza verbale s'intreccia con estremismo politico (ovviamente a destra) e tradizionalismo religioso, visto che alcuni di questi «hater» riempiono di «like» associazioni dedicate al Sacro Cuore di Gesù o a Padre Pio. Sotto la censura del settimanale finiscono pure pagine come «Rialzati Italia», «Io sto con Salvini», «Prima gli italiani», «Forconi» e altre ancora. Tutto inserito nel pentolone del sovranismo e dell'intolleranza e montato come si fa con la panna.
Da tempo una fetta delle élite culturali di casa nostra fanno a gara per presentare l'Italia come la patria dell'omofobia e della discriminazione, un Paese di gente che odia le donne e chiude gli occhi davanti ai femminicidi, una nazione di qualunquisti, xenofobi, persone che considerano la democrazia un lusso e preferirebbero affidare i destini collettivi a un politico dall'immagine forte e dalla parlantina sciolta. Si disse così quando fece la sua discesa in campo Silvio Berlusconi, lo si ripeté quando Matteo Renzi diede la scalata prima al Pd e poi a Palazzo Chigi, e si rispolvera questa visione oggi con Matteo Salvini. Un leader moderato e centrista, un segretario del primo partito della sinistra, un leghista: tre personalità di altrettanti partiti diversi. È una chiave di lettura priva di colore politico, ma gli «intellò» della sinistra finiscono per attribuire connotazioni di destra a tutti.
Le reti sociali vanno a pesca di invidia, di risentimento, addirittura di vendetta: in tempi di crisi, molte persone si sentono defraudate e hanno bisogno di prendersela con qualcuno. E il web è una palestra in cui esercitare liberamente la professione dell'odiatore.
Tanti hanno trovato nei blog, nei forum, nei commenti su Facebook o Instagram una bacheca su cui sfogarsi, magari mascherandosi dietro l'anonimato per scagliarsi contro il successo altrui. I fatti sono innegabili. Ma appiccicare l'infame etichetta dell'odio al popolo intero, costruendo un'immagine di un Paese alla deriva, è un'operazione che non corrisponde alla realtà.
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