Resti umani nel triangolo rosso forse è la vittima dei partigiani

Potrebbe essere lo scheletro di Ugo Pelicelli, gerarca fascista trucidato sessantadue anni fa a Poviglio, nel Reggiano

Forse la grande inchiesta di una vita è finalmente finita. «Chissà - azzarda Ettore Pelicelli -, forse è arrivato il momento per celebrare il funerale di papà». Un rito atteso da sessantadue anni. Quel che finora era un mistero, uno dei tanti ambientati alla fine della guerra nel Triangolo rosso, ora potrebbe diventare una lapide, e a fianco, una fotografia: quella di Ugo Pelicelli, facchino, padre di sette figli e, purtroppo per lui, comandante della Guardia nazionale repubblicana a Poviglio, nella Bassa Reggiana. L’8 maggio 1945 i partigiani lo legarono per i piedi a un camion, misero in moto e lo trascinarono come una bestia per le strade del paese. Poi lo portarono in un campo, dopo le ultime case, gli misero in mano una pala e gli dissero di scavarsi la fossa. Appena finito, gli spararono.

Ora da quella buca, scavata dai carabinieri del Ris, emergono resti umani. Sono i suoi? Impossibile avere certezze in tempi rapidissimi. Il figlio mette le mani avanti: «I tecnici se ne sono andati con sette-otto sacchetti colmi di reperti. Credo che consegneranno tutto al medico legale per le analisi, poi, se servirà, mi sottoporrò al test del Dna».

È prudente, Pelicelli, ma dietro il velo delle parole c’è l’euforia di una soluzione a portata di mano, dopo anni e anni di ricerche alla cieca, mezzi discorsi raccolti fra i compaesani, frammenti di verità messi insieme con infinita pazienza: «Certo, oggi è il momento dell’analisi, ma confesso che adesso ci credo e ci spero. Venerdì, prima giornata di scavi, si era chiusa per me nel segno del pessimismo. Ero depresso». La grande buca, un rettangolo di otto metri per dodici e due di profondità, non aveva restituito nulla: il passato era rimasto appartato da qualche parte.

Ora la novità: le ricerche sono state indirizzate verso sud-ovest, gli elettromagnetometri hanno scoperto qualcosa, dalla terra è uscita la storia. Chiusa diligentemente nei sacchetti. I tempi e le mosse sono dettati dalla Procura che ha riaperto il caso, ha interrogato una decina di testimoni e ha ordinato gli scavi. «Io spero - aggiunge Pelicelli - che questa mobilitazione apra una breccia nel muro del silenzio eretto sessantadue anni fa».

Solo a Poviglio, un centro di seimila abitanti, mancano all’appello i corpi di una ventina di persone eliminate nella resa dei conti. Ma sono centinaia i casi irrisolti fra Reggio, Modena e Bologna. «Quelli che sanno non parlano - spiega Graziano Dall’Aglio, memoria della storia locale - e scompaiono insieme ai segreti che custodiscono. Quel che sappiamo della fine di Pelicelli lo dobbiamo a una ragazza che quel giorno vide, nascosta fra le patate, l’orrenda fine dell’uomo e una decina d’anni fa, prima di morire, si decise a dire quel che aveva osservato».

Anche i protagonisti della storia non ci sono più: se n’è andato il Biro, che quel giorno guidava il camion e per mezzo secolo ha incrociato quasi quotidianamente Pelicelli; se n’è andato il Drago, il capo del commando, in seguito espulso per il suo carattere incontenibile anche dal Pci. «Uno degli autori del delitto - confida Marco Pirina, storico e animatore del centro studi “Silentes loquimur” - è ancora in vita, ma naturalmente nessuno vuole vendetta. Nessuno a questo punto vuole coltivare l’idea di spedire in galera una persona assai anziana e malandata.

Mi auguro però che questo signore abbia il coraggio di raccontarci tutta la storia nei dettagli. In ogni caso, se dovesse essere confermato che i resti appartengono a Pelicelli, io mi riterrò soddisfatto. Andrò in Procura e ritirerò la denuncia».

Ora la parola è al medico legale che dovrà esaminare i resti: fra gli altri, a quanto sembra, la testa di un femore. Poi Ettore Pelicelli potrebbe sottoporsi al test del Dna per la conferma finale. Dopo sessantatadue anni, anche a Poviglio la guerra potrebbe andare in archivio.
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