Ricotta: bianco piacere alla romana

Ha ottenuto la dop lo scorso anno: può essere prodotta solo nell’agro romano e solo da latte ovino

Chiara Cirillo

Non vi è dubbio che sia la mozzarella la «bianca» regina dell’estate. Ma a contenderle il titolo c’è l’ultima - in ordine di tempo - miss dop Lazio: si tratta della ricotta romana, che dal maggio dell’anno scorso è tra i prodotti di origine protetta della nostra regione. Una rivale che punta tutto sulla salute: la ricotta è non meno saporita della mozzarella, ma è anche più magra, il suo siero ha un contenuto basso di proteine (dall’1 al 2 per cento) e di grasso (al massimo il 2,5 per cento) e anche più leggera. Colorata di prezzemolo o bagnata di limone o con i pomodori è anche facile da preparare.
Romana, perché non tutte le ricotte sono uguali: «La nostra è l’unica in Italia che ha l’obbligo di essere ricavata soltanto da latte di pecora», ci spiega Fabio Recagno della Alta Tuscia Formaggi e consigliere del consorzio tutela ricotta romano, istituito proprio a tutela di questo antico e diffuso prodotto caseario. «Il disciplinare della dop - spiega Recagno - tra le altre cose dice chiaramente che l’originale dev’essere prodotta nell’Agro Romano! Prima del consorzio e del riconoscimento, in commercio si trovava ricotta tipo romana o alla romana, ma oggi le cose sono cambiate e in meglio: c’è una maggiore attenzione anche alla diffusione del nostro prodotto, purché originale». Certo, da quando è stata iscritta nel registro delle dop, la ricotta romana ha più onori ma anche più oneri: «Il disciplinare di produzione - spiega Recagno - prevede che il siero debba essere ottenuto da latte intero di pecora proveniente dal territorio della nostra regione e che le operazioni di lavorazione e trasformazione in ricotta devono avvenire sempre e solo nel territorio laziale. Un’altra caratteristica che le dona quella sofficità tipica è l’antica lavorazione a mano, ancor oggi utilizzata dai 18 soci del consorzio».
La ricotta romana, che nasce come prodotto ottenuto dal siero del latte di pecora, sui banconi delle nostre gastronomie è facilmente riconoscibile grazie al logo rappresentato da una testa di ovino e le scritte «ricotta» in giallo e «romana» in rosso (non ce ne vogliano i tifosi laziali...). Le confezioni sono gradevoli cestelli conici di vimini, di plastica o di metallo che possono arrivare fino a due chili oppure - ma questo può capitare solo in piccole realtà di paese - ancora avvolta in carta pergamena.
Al consorzio inoltre sono molto rigidi e ci tengono all’esclusività: «Da quando abbiamo ottenuto il marchio di riconoscimento nessuno la può chiamare in modo diverso, se leggete le frasi - fuorvianti - “alla romana” o “tipo romana” fate attenzione: sarà anche buona ma non è l’originale», avverte il nostro esperto. Oltre ai dati squisitamente tecnici con lui scopriamo che sui documenti ufficiali citati nel disciplinare risulta che la ricotta è originaria dell’agro romano e che la sua diffusione si deve a San Francesco d’Assisi, che trovandosi nel 1223 in una località laziale per la realizzazione di un presepio, insegnò ai pastori l’arte di produrla.

Ma già i romani la producevano: le origini antichissime e i riferimenti storici risalgono infatti fino a Marco Porzio Catone, che raccolse le prime norme che regolavano la pastorizia nella Roma repubblicana secondo cui il latte di pecora aveva due destinazioni: una religiosa (bevuto come bevanda purificatrice) e l’altra alimentare (grazie alla trasformazione del bianco latte in ricotta). Insomma, chi vorrà mangiare ricotta prodotta con latte di mucca, di capra o magari di bufala, si accomodi pure. Ma la ricotta romana resta imbattibile.

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