Rifondazione: «In Sicilia spariti per colpa dei Ds»

dal nostro inviato a Palermo

Il dopo elezioni in Sicilia è all'insegna degli scontri. Dentro la sinistra innanzitutto, per la scomparsa dalle aule di Palazzo dei Normanni di Rifondazione comunista e del Pdci a causa della legge elettorale varata un anno fa che non è stata stoppata neanche dal referendum confermativo voluto soprattutto da Rifondazione e fallito sia per il risultato sia per l'affluenza bassissima (il 20%). Ma anche a destra non c'è pace, malgrado la vittoria. La corsa a tre per la presidenza dell’Assemblea regionale siciliana non fa prevedere giorni tranquilli, soprattutto dentro il maggiore partito, Fi, che consuma lo scontro tra l'ex-ministro Gianfranco Miccichè e il capogruppo al Senato, Renato Schifani.
A sinistra lo sbarramento del 5% (che ha costretto i diversi partiti minori da Rifondazione alla Rosa nel pugno a Di Pietro a mettersi insieme con un nuovo simbolo «Uniti per Rita») penalizza il partito di Bertinotti che alle politiche aveva preso il 5,6% e oggi non elegge nessuno. Gli unici a prendere tre seggi con un farraginoso meccanismo di resti sono quelli dello Sdi-Rosa nel Pugno. «Una legge elettorale liberticida sulla quale hanno trovato convergenza con Cuffaro, purtroppo, sia la Margherita che i Ds. Primo firmatario è Mirello Crisafulli (il leader dei ds di Enna, la città che insieme a Siracusa ha dato la vittoria alla Borsellino, ndr), non dimentichiamolo» protesta il neodeputato nazionale Francesco Forgione, ex-coordinatore regionale. Che punta il dito su Cuffaro che con questa legge ha eliminato «l'opposizione radicale sulla questione morale», ma denunzia anche il rischio che in Sicilia «le prove di partito democratico si trasformino in consociativismo e l'opposizione al cuffarismo diventi semplice dialettica». A causa della legge, Rita Borsellino non avrà alcun deputato della sua lista («120mila voti finiti nel nulla» sottolinea Forgione) e dovrà fare affidamento solo su Margherita e Ds, cioè «sulla prova di Partito democratico» come la definisce sempre Forgione, che annuncia tra l'altro ricorso per verificare i 60 voti di differenza tra il candidato di Rifondazione e il vincitore dell'Idv, l'orlandiano Armando Aulicino.
E se a sinistra non si respira aria di concordia a destra le cose non vanno meglio. Al primo punto la questione presidenza dell'Ars, retta da due legislature da An, il cui candidato Guido Lo Porto, l'unico eletto nel listino di Cuffaro, non intende lasciare. Oltre Gianfranco Miccichè di Fi che si è candidato soprattutto con questo obiettivo, avanza pretese anche Raffaele Lombardo che dichiara che sorteggerà tra i suoi dieci deputati il possibile presidente: «Ogni cosa va ridiscussa alla luce dei risultati» dichiara il leader dell'Mpa. Ma i contrasti non sono soltanto per la guida dell'Ars. Si tratta di definire gli assetti politici dentro il partito degli azzurri e di capire chi sarà la guida politica. Il coordinamento regionale al momento è affidato ad Angelino Alfano, punto di mediazione tra tutti, esponente di un partito che a Roma guida l'opposizione e in Sicilia è il primo della maggioranza di governo. «La presidenza dell’Ars va a chi ha vinto le elezioni» dichiara senza tentennamenti Miccichè.

Che continua tra l'altro a tenere alto lo scontro con Schifani: «Avvertiamo antipatie e non capisco perché», afferma sulle pagine del Corriere della Sera. E incalza: «Dicono che non è piaciuto il metodo. Mi viene da ridere. Quando ho ottenuto la carica di capogruppo al Senato per Schifani “il metodo” andava bene a tutti. Adesso perché no?».

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