Per le riforme bipartisan tempo scaduto

Cosa fare adesso? Per dare una risposta seria bisogna capire cosa è davvero accaduto. Il voto del Senato non è solo la crisi parlamentare di un governo, di una maggioranza e di un’idea stravagante della politica. È anche la crisi senza ritorno del maggior partito della sinistra italiana, quel Partito democratico che non poteva costruire un suo futuro rinnegando le proprie storie politiche. Insomma è la lunga coda della crisi del vecchio Partito comunista travolto vent’anni fa dalle macerie del muro di Berlino. Quella classe dirigente fatta di politici e di uomini di cultura vissuti per decenni al caldo di una chiesa ideologizzata, implose al congresso di Rimini nel 1991. Non volle più definirsi comunista ma non volle neanche convertirsi al socialismo democratico europeo. E così, sotto la spinta di alcuni professori e di alcuni perversi intrecci tra finanza e informazione, quella classe dirigente scelse di scimmiottare gli americani inventandosi prima l’«Asinello», simbolo dei democratici di quel Paese, e poi il Partito democratico. Le storie politiche, però, non si inventano e meno che meno nei salotti della finanza internazionale.
La crisi del governo Prodi dunque è la fine di questo pastrocchio ed è stata accelerata dall’arrivo di Walter Veltroni. Un pastrocchio che in questi anni si è accompagnato all’introduzione del sistema maggioritario e alla abolizione della preferenza, unica arma per selezionare la classe dirigente. Quel sistema è ancora oggi sostenuto da Veltroni e dal suo partito con un progetto apparentemente di tipo proporzionale, ma che si limita a eliminare il premio di maggioranza esplicito per renderlo implicito grazie alla soglia di sbarramento e alla moltiplicazione delle circoscrizioni elettorali. Per due anni il Partito democratico ha oscillato tra la bozza Chiti e quella Bianco e oggi, quando la partita è finita con il fischio di chiusura del Senato, vuole riprendere il filo di quella tela mai compiuta. Non è possibile.
La crisi della sinistra italiana e gli intricati ragionamenti su altri pasticciati sistemi elettorali impongono allora l’immediato ricorso alle urne con l’attuale legge elettorale, i cui limiti non ci sfuggono ma i cui rimedi sarebbero peggiori del male.

Elezioni immediate dunque, per dare al Paese un governo e una maggioranza stabili, e per mettere al primo punto dell’agenda del nuovo Parlamento la rifondazione dell’intero sistema politico italiano, a cominciare naturalmente dai partiti. Altra via davvero non c’è.

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