Risotto fritto e tuberi o pacchero all'osso buco Ecco chi sa rischiare in cucina fra giochi (e sapori) pirotecnici

Dominique Antognoni

«La cucina è l'ultimo baluardo della meritocrazia, un mondo di assoluti. Perché in cucina non è possibile mentire e non c'è nemmeno Dio: non potrebbe comunque aiutarvi». Fra le tanti frasi cult di Anthony Bourdain, sono le più amate dagli chef con la c maiuscola, i giganti pluristellati che hanno segnato un'epoca: Alain Ducasse, Marco Pierre White, Moshik Roth, Michel Guerard, Yannich Allenò. Folli geniali con il fuoco dentro, cuochi con una personalità devastante, spesso ingombrante ma che ti insegnano tutto, ti cambiano la vita, lavori con loro e dopo un paio di anni ti senti pronto per volare e volere le vette del mondo. Ci vuole coraggio per andarci, la vita là dentro non è una passeggiata e ancor meno una passerella, ci va chi davvero vive per il cibo. Sono gli irriducibili romantici della cucina, quelli che vogliono sedurti con i loro menu, che sono sentimentalismo puro. Misha Sukyas, Alessandro Buffolino, Michelangelo Mammoliti: tre chef sulla trentina che hanno seguito un percorso del genere e che ora stanno andando spediti verso la piena consacrazione. Hanno tutto per sfondare e brillare: solarità italiana e tecniche francesi, padroneggiate in maniera eccelsa. Misha Sukyas (esperienze da Moshik Roth e Marco Pierre White), patron di Spice, in via De Amicis 4 a Milano, è uno da giochi pirotecnici, quasi psichedelici. Una cucina cromatica e creativa, a tratti geniale, sempre spiazzante, testosteronica, in ogni sua portata ci sono un ricordo e un racconto personale, un misto di culture ed etnie. Punta sull'erotismo, sulla sorpresa: ci riesce. Mescola risotto fritto e tuberi crudi, cioccolato bianco e tonno, maialino iberico e spezie libanesi, filetto danese e wasabi. Alcuni sono piatti che amerebbe un pazzo come Ozzy Osborne (la citazione appartiene ad un cliente affezionato), altri invece fanno parte della sua storia, vedi lo strudel di maiale. Tanti rischi ben calcolati, piatti vivi, vigorosi, peccaminosi, aggressivi, che ricordano tutto e assomigliano a niente, un po' come accade nella cucina di David Chang, l'uomo che riesce a mescolare materie prime provenienti da tre continenti. Alessandro Buffolino (un passato da Michel Guerrard, tre stelle Michelin a Lione), campano, che sa a memoria interi passaggi dei libri di Bourdain (Kitchen Confidential il suo preferito) ha un compito a dir poco arduo: ringiovanire, riempire e, perché no, portare la stella allo storico ristorante dell'hotel Principe di Savoia, Acanto. Ce la farà, ha già un'esperienza notevole e il piglio del leader. Idee forti, concetti chiari: inganna il suo viso da ragazzo timido, perchè in cucina si fa sentire, spartisce indicazioni e impone regole, non a caso il suo motto è «Ordine. Precisione. Pulizia».

Il pacchero con il sugo dell'osso buco è il suo piatto più rappresentativo, il più carico di gusti e profumi: «È la mia storia, la mia vita. Racchiude tutta l'Italia, il nord e il sud, perché il pacchero ti porta con il pensiero alla mia Campania, mentre l'osso buco è tipicamente lombardo. Il sugo è pieno di segreti, dalla buccia di arancia a quella di limone». Da parte sua, Michelangelo Mammoliti (ha già lavorato per Gualtiero Marchesi, Yannich Allenò, Alain Ducasse, Pierre Gagnaire) finalista all'ultimo Bocusse d'Or, nuovo chef del resort La Madernassa, praticamente a due passi dal tristellato Enrico Crippa, vicino ad Alba, è ambizioso, elettrico, istintivo, ispirato. «La mia cucina? Naturale e minimale, passionale, in evoluzione costante».

Lo spaghetto al barbecue è il suo piatto trasversale, quello che lo farà conoscere ai più. Applausi anche per la sua amuse bouche, la bavarese al parmigiano affumicato, davvero diabolica, mentre l'anguilla preparata con delle tecniche giapponesi sa di paradiso. La magia è servita.

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