La «rivoluzione rosa» resiste in Georgia: Saakashvili rieletto

Ma l’opposizione grida ai brogli e minaccia il caos in caso di conferma dei dati degli exit poll

La rivoluzione rosa in Georgia non è appassita o perlomeno così pare. Mikhail Saakashvili, il giovane leader che la capeggiò nel 2004 e che da allora guida il Paese, sarebbe stato rieletto con il 52% dei voti. Ma a sostenerlo è un exit poll di un'organizzazione non governativa e l'opposizione grida ai brogli e minaccia di scendere in piazza se anche i risultati ufficiali, attesi per oggi, confermeranno il responso preliminare. A Tbilisi si annuncia una domenica caldissima. Nel frattempo Misha, come è chiamato il capo dello Stato, si gode il trionfo, che fino a poche settimane fa sembrava improbabile. E con lui brinda Washington, che vede respinti i tentativi del Cremlino di riprendere il controllo di questo piccolo Stato caucasico, incastrato allo snodo cruciale per gli oleodotti: da qui infatti transitano il petrolio e il metano che dall'Azerbaigian possono arrivare alla Turchia senza passare per la Russia.
Per Putin è il secondo smacco in poche settimane: in Ucraina la coalizione arancione ha vinto, sebbene di poco, alle elezioni legislative sconfiggendo il filomoscovita Yanukovich; ora anche la Georgia conferma la svolta filo-Usa (il referendum sull’adesione alla Nato ha raccolto il 61% di sì). E dire che poche settimane fa Saakashvili sembrava messo proprio male. Il Cremlino aveva imposto un boicottaggio economico ferreo a Tbilisi, la cui economia è ancora molto dipendente da quella russa; poi Putin ha ravvivato i focolai separatisti nella regione georgiana dell'Abkhazia. Una strategia che sembrava ben congegnata: il Paese è precipitato in una profonda crisi, con un forte aumento di inflazione e disoccupazione. Misha, che tre anni fa era stato eletto con il 94% dei voti, si è scoperto impopolare. E a inizio novembre 2007 l'opposizione ha tentato la spallata: in 40mila hanno manifestato per una settimana di fronte al Parlamento. Lui ha reagito male: facendo intervenire le truppe speciali e imponendo la chiusura di Imedia, tv privata d'opposizione. Quando si è reso conto che anche l'Occidente lo criticava ha svoltato improvvisamente, concedendo il voto anticipato. E ha iniziato a rimontare.
La Russia si è fatta cogliere in contropiede e non è riuscita a coagulare l'opposizione. Anziché un solo candidato, se ne sono presentati sei; uno dei quali particolarmente sgradito proprio a Putin: il multimiliardario Badri Patarkatsischvili, comproprietario con Murdoch dell'emittente Imedia e grande amico dell'oligarca russo Boris Berezovski, in esilio a Londra. Ma a fine dicembre uno scandalo lo ha tolto di mezzo: qualcuno, probabilmente un agente dei servizi segreti, ha registrato una conversazione durante la quale Patarkatsischvili prometteva cento milioni di dollari a un alto funzionario del ministero degli Interni, che avrebbe dovuto denunciare i risultati delle elezioni e lasciare migliaia di manifestanti, a loro volta lautamente incoraggiati, esprimere la propria collera in piazza. Quando i media hanno trasmesso quel nastro, lui è stato costretto a ritirarsi.

Così il ruolo di principale antagonista è passato al semisconosciuto Levan Gatchetchiladze, ex produttore di alcolici ed ex collaboratore di Saakashvili, che avrebbe ottenuto solo il 28,5% dei consensi, ma che non intende arrendersi. Denuncia massicce irregolarità ed è pronto a mobilitare i suoi sostenitori.
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