Lo ha detto anche il premier Giuseppe Conte: quella foto dell'americano bendato nella caserma dei carabinieri rischia di configrare "gli estremi di un reato o, forse di due reati". L'infinita polemica sul "trattamento" riservato a Gabriel Natale Hjorth, uno dei due govani accusati in concorso dell'omicidio di Mario Rega Cerciello, non finirà oggi. Anzi: chi ha diffuso lo scatto rischia qualcosa in più del semplice trasferimento.
Chi in queste ore è passato per la caserma di via Selci dove è avvenuto il fattaccio parla di un ambiente dove c'è consapevolezza del "casino" provocato. L'Arma ha "impartito la direttiva di non far uscire più nemmeno un francobollo" ed è dunque probabile che non vedremo altre immagini trapelare qua e là. "Tutti credono sia stata una cazzata doppia: sia bendarlo che fare e diffondere la foto", sussurrano a più riprese uomini in divisa. Anche perché, si sa, l'Italia è quel Paese dove è alto il rischio che si parli più della benda che delle 11 coltellate inferte al corpo inerme di Cerciello.
L'Arma si è già scusata e ha subito preso provvedimenti. Ufficialmente Natale è stato bendato per evitare vedesse documenti riservati sugli schermi dei pc della caserma, e comunque i militari giurano sia stato a occhi chiusi per non più di 5 minuti. Come spiegato dal procuratore di Roma, Michele Prestipino, infatti, gli interrogatori sono stati registrati e "Natale Hjorth non ci ha detto del fatto che fosse stato bendato prima di essere sentito da noi magistrati". "In ogni caso - ha però assicurato l'Arma - abbiamo già denunciato alla magistratura quanto accaduto e gli esiti dei nostri accertamenti".
E qui arrivano le cattive notizie, almeno per chi ha diffuso l'immagine. La sua identità è finita oggi nell'informativa consegnata ai magistrati. In ambienti militari stentano a dirlo chiaramente, ma in molti sanno che l'autore dello scatto passerà un brutto quarto d'ora. La Procura di Roma promette "rigore" nell'accertare i fatti. Ma quello che in pochi sanno è che sebbene il pm "civili" si siano già mossi, se il malcapitato è davvero un carabiniere potrebbe poi essere la procura militare a farsi carico della questione. Applicando il codice penale militare.
Per quanto riguarda la procura ordinaria, è probabile che contesterà la violazione dell'articolo 326 comma I del codice penale, ovvero la rivelazione di segreti d'ufficio. È infatti punito con la reclusione da sei mesi a tre anni "il pubblico ufficiale o la persona incaricata di un pubblico servizio, che, violando i doveri inerenti alle funzioni o al servizio, o comunque abusando della sua qualità, rivela notizie di ufficio, le quali debbano rimanere segrete, o ne agevola in qualsiasi modo la conoscenza".
Inoltre va tenuto conto che è anche vietato fotografare ambienti militari, soprattutto se si rischia di violare la riservatezza degli agenti al loro interno o di documenti e dati segreti e sensibili.
Altre grane arriveranno poi dalla procura militare. La legge prevede che lo stesso reato possa essere contestato una sola volta, dunque bisognerà decidere se la competenza spetta al tribunale militare o a quello civile. Ad una prima lettura, gli esperti propendono per la prima ipotesi, visto che la norma militare è speciale e prevale su quella ordinaria. Sempre, ovviamente, che il soggetto in questione sia un appartenente all'Arma.
In quel caso, il reato sarebbe quello descritto dall'articolo 127 del codice penale militare di pace. "Il militare, che rivela notizie concernenti il servizio o la disciplina militare in generale, da lui conosciute per ragione o in occasione del suo ufficio o servizio, e che devono rimanere segrete - si legge - è punito con la reclusione militare da sei mesi a tre anni".
Resta infine un'ipotesi "fantascientifica" e complottista. Si è parlato della possibilità che la fotografia sia stata scattata apposta per annullare gli atti processuali (cosa, peraltro, molto difficile), favorire così la scarcerazione dell'americano e mettere in difficoltà il procuratore D'Aloia.
In questo caso, si applicherebbe l'articolo 378 c.p. sul "favoreggiamento personale", con pena prevista fino a 4 anni di carcere.Tutto, ovviamente, è in mano ai pm. Una cosa però è certa: quella foto non doveva circolare così.
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