"Quante persone abiteranno a Kabul? Quattro o cinque milioni? Scommetto che almeno la metà di loro si metterà in cammino verso l’Europa, magari come ho fatto io, affidandosi ai trafficanti di uomini". Said ha 31 anni ed è originario della provincia di Lowgar, in Afghanistan. Ha sempre vissuto con la famiglia a Kabul. Poi, dieci anni fa, il papà ha venduto tutto quello che aveva per racimolare circa 15mila euro: il prezzo per entrare illegalmente in Italia attraverso la rotta balcanica. In dieci anni ha fatto il manovale, distribuito volantini, consegnato pacchi a domicilio. Oggi la sua unica preoccupazione è far rientrare in Italia suo fratello e suo cugino. Ha già inoltrato la richiesta alle autorità italiane: "Hanno lavorato per gli americani, e so per certo che se non riusciranno a lasciare Kabul i talebani li uccideranno".
Non crede al volto docile del secondo emirato islamico e alle promesse di misericordia verso i collaboratori degli occidentali. "Appena i riflettori si saranno spenti – continua – li faranno fuori tutti". Siamo su un marciapiede di via di Tor Pignattara, nel quartiere con la più alta concentrazione di moschee e centri culturali islamici. È qui che negli anni è cresciuta la comunità bengalese, pakistana e afghana della Capitale. E in questi giorni, tra ristoranti etnici e negozi halal, quello che sta succedendo a Kabul è uno degli argomenti più gettonati. Said taglia corto e ci dice che i talebani non faranno altro che imporre la sharia. "Per questo le persone continueranno a scappare", ci assicura.
Non tutti, però, la pensano come lui. Per molti, qui, i talebani non sono tutti "terroristi". "Ci sono quelli buoni e quelli cattivi, quelli che governavano negli anni Novanta uccidevano per soldi, quelli che ci sono ora non fanno altro che applicare la legge islamica", ci spiega un altro cittadino afghano. Lo incontriamo all’esterno di una delle moschee del quartiere, intento a chiacchierare con dei conoscenti, tutti originari del Paese dell’Asia Centrale. Non vede l’ora di dire la sua su quello che sta succedendo a casa. "Non mi piace l’esercito americano, quando sono arrivati in Afghanistan sapete quanta gente hanno ucciso? In 21 anni – attacca – non hanno costruito nulla".
Per un uomo anziano, vestito in abiti tradizionali islamici, anche l’attentato alle Torri Gemelle sarebbe un falso. "Gli americani se le sono buttate giù da soli, i musulmani non sono terroristi, è l’America che ha creato e armato questi gruppi". Insomma, sono convinti che la vita a Kabul non cambierà in peggio. "Il burqa? Agli afgani delle campagne piace, a quelli di città un po’ meno", ci spiega un altro uomo. "E tu per tua moglie cosa preferisci?”, gli domandiamo noi. "Burqa", è la risposta decisa. L’amico accanto a lui gli fa eco: "Burqa. È questione di religione". Qui però il velo integrale è vietato per ragioni di sicurezza e così bisogna adattarsi: "A Roma va bene anche l’hijab, purché il corpo sia tutto coperto, sennò è haram (proibito, ndr)".
L’idea che una donna possa desiderare altro neppure li sfiora: "Perché mai mia moglie dovrebbe rifiutare il velo? Lo sa che nell’Islam è così". Lungo il marciapiede dove stazioniamo il viavai di donne velate è incessante. Passano svelte, con lo sguardo (unica parte libera del loro corpo) perennemente basso, senza dare confidenza agli estranei. Nulla o quasi è concesso. "Parlare con gli sconosciuti non è permesso, solo qualche parolina in caso di necessità, e se viene scoperta a fare sesso con un uomo deve essere punita con cento bastonate".
Chiediamo conferma all’imam di un vicino centro islamico. Anche per lui i talebani non farebbero altro che affermare la dottrina: "In arabo significa studenti, tutto qua". Secondo il chierico non ci sarebbe niente di male in alcuni dei provvedimenti che hanno scioccato la società occidentale, come il divieto di ascoltare musica in pubblico: "Andare in discoteca non è ammesso, e neppure sentire melodie in cui vengono pronunciate parole sconvenienti. È haram".
E poi ci conferma che per le adultere l’unica opzione è quella di ricorrere alle pene corporali. "Nel Corano c’è scritto quante devono essere le bastonate a seconda del peccato commesso", va avanti con naturalezza. Lo guardiamo attonite. Ma chi è che deve picchiarla? "Non necessariamente il marito, può farlo anche il padre, un fratello o un parente". Per fortuna non tutti la pensano così.
"Nel Corano c’è scritto che il velo deve coprire soltanto i capelli, quelli che impongono il burqa non fanno altro che travisare la nostra religione", ci aveva detto poco prima Said. Per loro ha solo una definizione: "Sono fondamentalisti".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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