C’è la fila nonostante il caldo asfissiante davanti all’ospedale Vannini, a Tor Pignattara. I cittadini bengalesi avanzano ordinati con naso e bocca coperti dalla mascherina. Il drive in allestito dalla Asl Roma 2 per effettuare i tamponi per il Covid-19 ha appena chiuso i battenti. Qualcuno protesta. Poi si avvia verso casa, con la promessa di tornare domattina. Nella "Banglatown" romana si respirano ansia e preoccupazione.
Dopo l’arrivo da Dacca di decine di passeggeri positivi al virus, i riflettori sono puntati sulla comunità bengalese, che conta circa 175mila appartenenti in Italia. Ieri su 28 casi registrati nella regione Lazio almeno 22 risultano "importati", e 18 di questi sono connessi ai voli di rientro proprio dal Paese del Sud-Est asiatico, dove l’epidemia avanza a ritmo sostenuto. Numeri preoccupanti, che nei giorni scorsi hanno spinto il governo italiano a bloccare i collegamenti con Dacca.
"Siamo stati costretti a sospendere per una settimana i voli dal Bangladesh", ha detto il premier Giuseppe Conte in un’intervista al canale spagnolo La Sexta. "L'altro giorno abbiamo scoperto che al di là della quarantena un buon 20 per cento erano soggetti positivi al Covid, questo significa che in partenza non c'erano controlli", ha sottolineato il presidente chiamando i Paesi più colpiti dalla pandemia a "responsabilità e attenzione". Quella di chiudere le porte ai cittadini bengalesi, insomma, è stata una scelta obbligata.
Impossibile verificare il rispetto dell’isolamento da parte di chi arriva. Lo dimostra il caso del 53enne atterrato in Italia lo scorso 23 giugno e risultato positivo al virus. Nonostante la Asl gli avesse raccomandato la quarantena, ha viaggiato per mezza Italia prima di essere bloccato alla Stazione Termini e ricoverato al Policlinico Umberto I. "Si tratta di uno sprovveduto, ma il governo avrebbe dovuto vigilare", commenta Mohammed Taifur Rahman Shah, presidente dell’associazione Italbangla.
Ci accoglie nel suo quartier generale, in via Visconte Maggiolo, dove ha indetto una conferenza stampa per chiedere all’esecutivo di tornare sui propri passi. "Non si possono chiudere le porte a chi scappa dall'inferno", esclama. Le autorità bengalesi, secondo l’attivista, non avrebbero più il controllo dell’epidemia: "Finora sono stati fatti soltanto 900mila tamponi su 160milioni di persone e il 20 per cento dei testati è risultato positivo al virus, questo – ragiona – significa che gli infetti potrebbero essere tantissimi". E così, ci assicura Shah, in molti preferiscono comprare un biglietto di sola andata per il Vecchio Continente.
Secondo le notizie riportate dai media locali, qualcuno è disposto persiono a fare carte false, acquistando per poche decine di euro certificati contraffatti che attestino la negatività al tampone e assicurino il via libera in aeroporto. "Secondo le nostre stime, oggi in Bangladesh ci sarebbero almeno 10mila persone bloccate e pronte a partire per l’Italia", riferisce il portavoce della comunità bengalese romana. "La maggior parte – ci spiega – è gente che viveva qui prima che scoppiasse la pandemia e che lo scorso marzo ha fatto ritorno in Bangladesh proprio per sfuggire al lockdown".
Ora vogliono percorrere il tragitto inverso e rifugiarsi nel Bel Paese. "La situazione in Bangladesh è tragica, gli ospedali sono sovraffollati e la sanità è al collasso, il governo italiano - incalza - non può abbandonare queste persone, bisogna ripristinare subito i collegamenti". La soluzione secondo l’attivista è quella di obbligare chi arriva a Roma o Milano a prenotare un albergo dove trascorrere due settimane in quarantena. "I biglietti aerei ora costano tantissimo, chi può spendere certe cifre per un volo di sicuro può permettersi anche un hotel", ragiona Shah. "Oppure – continua – potrebbe pensarci direttamente lo Stato italiano, nel decreto Rilancio ci sono abbastanza fondi anche per aiutare i nostri concittadini in difficoltà".
"Del resto – osserva il portavoce dei bengalesi romani – è quello che già sta facendo la Regione Lazio con i positivi in quarantena all’hotel Hilton".
Intanto decine di cittadini bengalesi arrivati mercoledì da Doha a bordo di due aeromobili della Qatar Arways sono stati rimpatriati. "È inammissibile - denuncia Shah – l'Italia avrebbe dovuto garantirgli l’assistenza sanitaria che non possono avere nel loro Paese d’origine".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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