Un massacro silenzioso, che sta spazzando via un’intera generazione. È nelle case di riposo che il virus si diffonde di più. E così quelli che dovevano essere luoghi sicuri per migliaia di anziani si sono trasformati in gironi infernali. Secondo i dati dell'osservatorio dell'Iss sulle Rsa, dal primo febbraio al 14 aprile, nelle residenze per anziani e case di riposo italiane sono morte 6773 persone. In cima alla triste classifica ci sono Lombardia, Veneto e Piemonte.
Ma il Lazio non fa eccezione. Gli anziani positivi al Covid o con sintomi influenzali deceduti nello stesso lasso di tempo sono 147. E i focolai nelle case di riposo si moltiplicano di giorno in giorno. L’ultimo comune ad essere blindato, nella giornata di sabato, è stato quello di Campagnano. Nel centro di riabilitazione Santa Maria del Prato, su 105 ricoverati quasi la metà sono risultati positivi al coronavirus. Tra gli infettati ci sono anche 28 operatori, su un totale di 61 unità. Numeri che potrebbero crescere ulteriormente nelle prossime ore, visto che la struttura si trova accanto a case e palazzi. In totale, nelle case di riposo del Lazio si stima che possano essere state colpite dal virus da 450 a 500 persone.
A fare da apripista sono state la Rsa Madonna del Rosario, di Civitavecchia, e la casa di cura San Raffaele di Cassino. Poi è stata la volta della casa di riposo Giovanni XIII di via di Vallerano, a Roma, e delle Rsa di Veroli, nel Frusinate, e Nerola, in provincia di Roma. In questo comune di neppure duemila abitanti a nord della Capitale il 25 marzo scorso è arrivato l’esercito. Il 22 dello stesso mese nella casa di riposo Santissima Maria Immacolata era stato scoperto il primo paziente positivo. Nel giro di qualche giorno i contagiati diventano 72 e tra gli ospiti positivi, poi trasferiti alla Nomentana Hospital di Fonte Nuova, ci saranno almeno quattro decessi.
Sabina Granieri, sindaco di Nerola al suo terzo mandato, guarda indietro a quei venti giorni di isolamento: "Neppure quando siamo stati dichiarati zona rossa qui sono arrivate le mascherine". "Ce n’erano pochissime e non adatte, e anche ora che l’emergenza è passata abbiamo dovuto acquistarle di tasca nostra", ci racconta la prima cittadina. Anche l’osservatorio dell’Iss sulle Rsa classifica la mancanza di dispositivi individuali di protezione come la principale difficoltà da affrontare nel corso dell’epidemia che ha colpito il nostro Paese. "L’assenza di Dpi che si è registrata nella fase iniziale dell'emergenza ha aiutato non poco queste strutture a diventare veri e propri lazzaretti", denuncia Chiara Colosimo, consigliere regionale di Fratelli d’Italia. "Ci sarebbero volute molte più mascherine – osserva - possibilmente certificate".
A far discutere è anche la decisione presa a fine marzo dalla Regione Lazio di "accogliere pazienti Covid positivi che non necessitano di ricovero in ambiente ospedaliero" nelle residenze per anziani del territorio. "È quello che è accaduto alla Nomentana Hospital, la Rsa che aveva già 22 ospiti positivi dove sono stati trasferiti anche i 49 anziani contagiati a Nerola", spiega un altro consigliere di Fratelli d’Italia, Giancarlo Righini. "In generale – ci dice – si tratta di una decisione folle e non priva di rischi". "Infatti – aggiunge - nei giorni successivi al trasferimento si sono infettati altri pazienti, oltre a 29 operatori". "In questo caso però – prosegue Righini - nessuno ha battuto ciglio perché non siamo in Lombardia ma nella regione governata dal leader del Pd".
Dall'assessorato alla Salute del Lazio però sottolineano di aver agito sotto la supervisione del Seresmi-Istituto Spallanzani e di aver creato Rsa Covid proprio per evitare "promiscuità ed ospitare solo pazienti positivi che non necessitano di cure ospedaliere". "Ma in strutture come la Nomentana Hospital, ad esempio, dove il nucleo Covid è distribuito su un piano dell'edificio - si domanda polemico Righini- come si può garantire l'isolamento totale del reparto?".
Anche a Rocca di Papa, comune dei Castelli Romani, la casa di cura San Raffele è circondata dai blindati dell’esercito. In questa clinica, una di quelle dove il virus ha trovato terreno fertile, le richieste di forniture di Dpi alla Regione risalgono all'inizio di marzo. Sono rimaste inevase, e così la struttura ha provveduto ad acquistarle di tasca propria. "Le abbiamo acquistate autonomamente a prezzi esorbitanti ed abbiamo cercato di fare più prevenzione possibile", spiega Antonio Vallone, amministratore delegato del San Raffaele e presidente di Unindustria Sanità. Dalla struttura, dove si sono ammalati 149 degenti e 30 operatori, assicurano di aver utilizzato tutte le accortezze del caso.
Il 31 marzo, infatti, la casa di cura scrive alla Asl Roma 6 per chiedere di poter effettuare a proprie spese i tamponi sul personale sanitario e sui ricoverati. Proprio come indicato da una circolare del ministero della Salute datata 25 marzo. La risposta arriva otto giorni dopo ed è un "no". Una decisione "incomprensibile" secondo Vallone. Nel lasso di tempo che intercorre tra le due missive esplodono i contagi. Il 9 aprile sono due, il giorno successivo salgono già a 18, poi 86, fino ad arrivare a 149. Il Covid dilaga. "Noi - spiega - siamo un Irccs riconosciuto sia a livello regionale che nazionale, ci eravamo già dotati delle apparecchiature e delle professionalità per l'esecuzione dei test e invece ci è stata negata la possibilità di fare prevenzione e rintracciare gli asintomatici, che sono dei killer inconsapevoli".
I risultati sono sotto gli occhi di tutti. "Si fa un gran parlare di prevenzione, si è detto e ridetto che gli anziani sono le categorie più a rischio, eppure ci si è ricordati delle Rsa solo adesso". In quegli stessi giorni diversi casi si registrano anche nella Rsa di Villa Giulia, nel territorio della Asl Roma 3, e nel Reatino, dove è boom di contagi. Su quasi tutti i cluster scoperti all’interno delle case di riposo ora indagano le procure competenti, mentre la Regione ha istituito una commissione ad hoc “per svolgere gli audit di verifica del rispetto delle disposizioni impartite". Venerdì l’assessorato alla Sanità del Lazio ha predisposto un "giro di vite" su case di cura e strutture socio-assistenziali che disciplina il divieto per il personale di operare in più di un centro, l’obbligo del controllo di temperatura e saturazione in entrata e in uscita e una serie di controlli aggiuntivi da parte delle Asl.
Misure che, però, rischiano di arrivare in ritardo.
"Nessuno si è preoccupato, una volta informato della possibile epidemia, di stoccare i Dpi e immaginare percorsi e procedure di salvaguardia per le fasce più fragili", attacca ancora Colosimo. “Era chiaro a chiunque che queste strutture rischiavano di essere delle bombe pronte ad esplodere, averlo sottovalutato e non averle isolate immediatamente è imperdonabile”.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.