Porto d’armi persino a un ipovedente

Nei guai un medico capo della polizia. Per ogni certificato si faceva pagare 80 euro e usava la carta prestampata del ministero

Porto d’armi persino a un ipovedente

Il porto d’armi è stato rilasciato perfino a un soggetto ipovedente. Sono in tutto 276 i certificati rilasciati da un vicequestore aggiunto della polizia che, nella maggioranza dei casi, non sottoponeva i richiedenti alle visite oculistiche e audiometriche necessarie. A finire nei guai è un medico capo della polizia, che adesso rischia di essere condannato a pagare 41.806,39 euro. Nella cifra sono comprese sia le parcelle che non sono mai state versate al Viminale, 80 euro ogni visita, che le ore che il dottore ha passato in giro per la Capitale, senza aver avuto nessun via libera dal ministero dell'Interno, invece che svolgere la sua funzione.

Intascava 80 euro a visita

Come riportato da Il Tempo, per ogni certificato il medico si faceva pagare 80 euro e utilizzava la carta prestampata del ministero, sulla quale c’era pure il timbro appartenente all'Ufficio per i Servizi tecnico-gestionali. Le visite però non erano state autorizzate e venivano fuori da una struttura pubblica, in agenzie pratiche d'auto e Caf, senza garanzie, senza partita Iva e senza alcuna ricevuta. A mettere nel mirino il medico è stata la procura della Corte dei conti del Lazio che ha chiesto che il vicequestore aggiunto venga condannato a risarcire all’erario un totale di oltre 41mila euro. Di questi, 22mila euro sono quelli che avrebbe dovuto versare al Viminale, e 19.726 euro sono per il danno da disservizio, dato che i certificati medici venivano rilasciati nell’orario di lavoro.

Come è scoppiato il caso

Tutto è cominciato quando il 6 giugno del 2018 una persona si è recata presso l’Ufficio armi del commissariato San Paolo e ha chiesto agli agenti di essere aiutato nella compilazione dell'istanza per avere il rinnovo del porto d'armi, uso caccia, perché senza gli occhiali non riusciva a leggere. Peccato per lui che uno degli operatori abbia letto sul certificato medico che, secondo quanto attestato sul documento, il soggetto che aveva di fronte possedeva nove decimi per occhio e che non aveva bisogno di portare gli occhiali. A firmare il certificato era stato il vicequestore aggiunto che è adesso indagato. Nel Caf in zona Trullo non vi era stata nessuna visita, ma solo un breve colloquio.

La Guardia di finanza ha quindi avviato le indagini, dalle quali è emerso che, tra il 2017 e il 2018, il funzionario di polizia aveva rilasciato in tutto ben 276 certificati medici, alla cifra di 80 euro a visita, percependo illegalmente più di 22mila euro. Nell’atto di citazione si legge che il medico “ha agito in assenza di partita Iva o di altra certificazione fiscale, il ché indica un'attività in nero e quindi abusiva, peraltro da considerarsi abituale e non occasionale”. Inoltre, è anche emerso che “ha redatto i certificati su prestampati del ministero dell'Interno dipartimento della Pubblica sicurezza”, il suo ex reparto di appartenenza, “attestando così come se l'accertamento dei requisiti psicofisici fosse avvenuto all'interno di una struttura della Polizia di Stato”.

L'indagine

I certificati venivano rilasciati in alcune strutture civili dove l’agente riceveva i suoi clienti. In

tali sedi il vicequestore, che aveva pure aperto una partita Iva per attività degli studi odontoiatrici, non rilasciava nessuna ricevuta. Fin dalle prime indagini il dipartimento Funzione pubblica della presidenza del Consiglio aveva subito passato la palla al nucleo speciale Anticorruzione della Guardia di Finanza e quindi al terzo Nucleo operativo metropolitano della Capitale. Nel giro di pochi mesi si è chiusa l'inchiesta delle Fiamme Gialle sui certificati rilasciati per il porto d'armi per la caccia e per la difesa personale.

In sede penale il pubblico ministero del pool dei reati contro l'amministrazione della Procura di Roma ha chiesto l'archiviazione del vice questore aggiunto per “tenuità del fatto”. Di diverso avviso Francesco Vitiello, viceprocuratore della Corte dei Conti del Lazio, che ha invece tenuto a sottolineare come sia “evidente che il proprio interesse economico sia stato valutato dallo stesso dottor V.P.

come predominante rispetto all'ordine e alla sicurezza pubblica, col grave rischio e pericolo per l'incolumità delle persone che ne è conseguenza diretta”. Sarà compito dei giudici contabili decidere se condannare il funzionario.

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