A Roma stiamo assistendo allo sviluppo di pollinosi anche durante l'inverno.
Siamo abituati a immaginare l'allergie come patologie legate alla polvere di casa e soprattutto a quelle della primavera, da pollini di graminacee di olivo di paritaria, facilmente individuabili proprio per la stagionalità tipica (aprile-giugno). Ma da qualche tempo vi sono altri insidiosi allergeni che si sviluppano nei periodi freddi e soprattutto da metà febbraio a fine marzo. Sono i pollini delle cupressacee. Questa è una grande famiglia della specie delle conifere: il cipresso comune (o sempre verde), il cipresso detto friziona, la thuia e come essa altre nuove specie importate da alcuni anni in Italia: cedro e cedro giapponese. Infine la famiglia dei ginepri che comprende diversi tipi di alberi con pollini simili dal punto di vista allergenico. Tutte queste piante si riconoscono per le tipiche foglie «accartocciate» come quelle del cipresso e per la formazione di bacche.
Questa famiglia di piante emette migliaia di pollini al giorno e basti pensare che quaranta o cinquanta pollini per metro cubo scatenano, nei sensibilizzati, l'allergia.
Un tempo solo il 15 per cento del pollinosici era allergico alle cupressacee, adesso sono il 35 per cento. Questa allergia è dunque in forte aumento. Perché? In parte per la grande «adattabilità» di queste piante che si sviluppano facilmente, ma soprattutto perché molte di esse sono cosiddette «esotiche», cioè sono state importate da alcuni anni con finalità diverse e ruoli crescenti. Vengono usate per l'abbellimento dei giardini e dei parchi, ma principalmente come siepi e soprattutto bordature in città. Qui sta il problema. Il grande sviluppo di queste allergie è dovuto anche all'inquinamento: quello industriale , quello urbano e d'inverno quello da combustione per il riscaldamento. Quando è emesso dalle piante il polline è «disidratato» (cioè privo di acqua) per essere più leggero. Nell'atmosfera in questo periodo facilmente incontra piccole particelle di umidità ricche di inquinanti che assorbe creando così complessi allergenici più attivi.
Solo un esempio: è stato dimostrato che il biossidio di zolfo e l'azoto, due importati inquinanti derivati dalla combustione inducono il rilascio di allergeni e lo sviluppo di patologie allergiche.
«I sintomi purtroppo - sottolinea il dottor Francesco Arienzo, pneumologo e allergologo, dirigente presso l'azienda ospedaliera San Camillo Forlanini - spesso di confondono con quelli delle comuni virosi (raffreddori) facili in questo periodo: bruciore degli occhi, prurito del naso, rinorrea, starnuti, tosse, e qualche volta «respiro sibilante». Ma il normale raffreddore dura pochi giorni, l'allergia si prolunga e spesso è accompagnata da una classica iperemia del volto (arrossamento e bruciore)». «In questi casi - prosegue Arienzo, che è anche consulente pneumologo dei Centri Artemisia - è necessario praticare le prove allergologiche cutanee presso uno specialista. Questi test hanno una alta sensibilità e specificità (la capacità diagnostica per le cupressacee è stata raggiunta solo negli ultimi anni). Eventualmente potrà essere richiesto un esame di controllo sul sangue prist e rast».
La cura farmacologica ben condotta può facilmente dominare i sintomi. Raro è lo sviluppo dell'asma. «Qualora fosse necessario - conclude lo specialista -sempre su consiglio dello specialista, si può oggi praticare con sicurezza il vaccino per via infettiva e per via sublinguale».
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