Milano - La macchina della giustizia torna a pieno regime. Oggi è un nuovo B-day, il giorno in cui nel tribunale di Milano riparte alla caccia del bersaglio grosso: Silvio Berlusconi. Due udienze in contemporanea. Da un lato, il dibattimento in cui il presidente del Consiglio (che non sarà presente in aula) è accusato di concussione e prostituzione minorile e che ha come epicentro la figura di Karima El Marhoug, alias Ruby Rubacuori, la marocchina che da Messina arriva ad Arcore, passando per la questura di Milano. Dall’altro, l’udienza preliminare che vede imputati l’ex igienista dentale e attuale consigliere regionale del Pdl Nicole Minetti, l’agente dei vip Lele Mora e il direttore del Tg4 Emilio Fede, accusati di sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione, anche minorile, per il giro di ragazze ospitate nelle residenze di Berlusconi. Accusa e difesa sono pronte a un nuovo scontro. Perché i pm Ilda Boccassini, Piero Forno e Antonio Sangermano sono convinti di avere in mano le prove per incastrare il Cavaliere. I legali del premier, Nicolò Ghedini e Piero Longo, torneranno invece alla carica contro un processo che ritengono segnato da «gravissime violazioni di legge». Ecco quali.
LE INTERCETTAZIONI
Secondo i due avvocati, i magistrati milanesi sono responsabili di un inaccettabile «sconfinamento » di campo: le intercettazioni con cui (anche se indirettamente) è stato ascoltato il capo del governo, le cui prerogative sarebbero così state violate. Ghedini e Longo, nelle scorse settimane, hanno presentato una memoria alla Giunta per le autorizzazioni della Camera in cui sottolineavano come «le intercettazioni e i tabulati di cui si chiede l’inutilizzabilità sono stati posti a fondamento della richiesta di giudizio immediato formulata dalla Procura di Milano e dal successivo decreto emesso dal gip». In pratica, se cadono quelle intercettazioni, sostengono Ghedini e Longo, il processo va a farsi benedire.
LA COMPETENZA TERRITORIALE
È un’altra delle note dolenti sollevate dai difensori del Cavaliere. Per Ghedini e Longo, infatti, non sono i giudici di Milano a doversi pronunciare sulle notti di Arcore, ma quelli di Monza (per il reato di prostituzione minorile) e il Tribunale dei ministri (per la concussione). Sul punto pende la spada di Damocle del conflitto di attribuzione sollevato dal Parlamento, e su cui la Consulta si pronuncerà il 7 febbraio. Già oggi, però, Ghedini e Longo potrebbero chiedere una sospensione del dibattimento fino a quella data. Nel caso, saranno i giudici milanesi a decidere. Tecnicamente il Tribunale può scegliere di proseguire senza alcuno stop, ma è anche vero che a Milano (il precedente riguarda il caso Abu Omar) ragioni di galateo istituzionale hanno suggerito la sospensione dei lavori. La Procura, che ha voluto processare Berlusconi con il rito del giudizio immediato, si opporrà a una sospensione di quasi cinque mesi del dibattimento.
L’ISCRIZIONE TARDIVA DEL PREMIER
Il nome di Berlusconi è comparso nel registro degli indagati sei mesi dopo rispetto a quelli di Emilio Fede, Lele Mora, Nicole Minetti, senza che apparentemente affiorassero elementi nuovi rispetto a quanto già raccolto dai pm. Una possibile violazione del codice di procedura penale, in base al quale la notizia di reato e l’autore vanno iscritti «immediatamente » nel registro, a tutela dell’indagato. È una delle eccezioni di nullità sollevate dai legali del Cavaliere. Ma, come vedremo, senza successo.
LE ECCEZIONI RESPINTE
Al termine dell’ultima udienza, il 18 luglio scorso, Ghedini sbottò. «In qualsiasi altra parte d’Italia oggi ci sarebbe stato il proscioglimento del presidente del Consiglio».
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