Rumsfeld preme su Pechino «Ora ci vuole democrazia»

Rumsfeld preme su Pechino «Ora ci vuole democrazia»
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da Nuova Delhi

Proprio nei giorni in cui cade il sedicesimo anniversario del massacro di piazza Tiananmen, dagli Stati Uniti arriva un monito alla Cina e alle sue mire di egemonia politica e militare in Asia. Appena arrivato a Singapore, il segretario alla Difesa americano Donald Rumsfeld ha lanciato una bordata contro Pechino che di sicuro surriscalderà il clima del vertice sulla sicurezza, il cosiddetto Shangri La Dialogue, che si apre oggi con i ministri della Difesa di alcuni Paesi asiatici, tra cui Corea del Sud e Giappone.
Secondo il capo del Pentagono, la mancanza di democrazia in Cina potrebbe minare le basi del futuro sviluppo economico. «Sarebbe un peccato per il popolo cinese se il suo governo non concedesse le opportunità offerte da un sistema politico ed economico più libero» ha detto ai giornalisti, facendo un confronto con l’India, che pur essendo in ritardo sul piano del liberismo economico, può vantarsi di essere la più grande democrazia del mondo. Le relazioni tra Usa e India «sono eccellenti – ha detto Rumsfeld – soprattutto dal punto di vista della cooperazione militare che si rafforza anno dopo anno». Anche qui il contrasto con Pechino è evidente. Le spese militari crescono di pari passo con la crescita economica, «tanto che oggi la Cina è uno dei principali importatori di materiale bellico dalla Russia», ha ricordato, non senza una punta di polemica, dato che le relazioni militari non sono migliorate dopo l’intercettazione dell’aereo spia Usa nel 2002.
L’impressione, però, è che le sparate siano a salve. Gli Stati Uniti non possono permettersi il lusso di irritare Pechino. Semmai possono attuare una politica di contenimento, per esempio corteggiando l’India, come ha fatto il presidente Bush fin dal primo mandato avviando il disgelo con New Delhi dopo i test atomici. Rumsfeld andrà a Pechino entro la fine dell’anno seguendo l’esempio di Condoleezza Rice che ha scelto Delhi e Pechino per il suo esordio. Dopo anni di attenzione esclusiva sul terrore islamico, l’Asia sta diventando una priorità. Durante il meeting di Singapore, organizzato ogni anno dall’International Institute for Strategic Studies di Londra, incontrerà una dozzina di «colleghi» asiatici. In agenda ci sarà anche la crisi nord coreana.
Ritornando alla Cina, le inquietudini americane non sono infondate. Secondo Goldman Sachs, la locomotiva cinese supererà gli Usa nel 2050. Ma ci sono molte ombre. Innanzitutto non è chiaro fino a che punto Pechino potrà continuare a sostenere il dollaro e il debito statunitense, continuando nello stesso tempo la politica di dumping commerciale che sta danneggiando le industrie americana e europea. Secondo, non è sostenibile lo sviluppo a due velocità, tra città ricche e campagne povere. Lo standard di vita dei contadini è diminuito del 6% dopo l’ingresso nell’Omc. Terzo c’è la componente del nazionalismo, agitato non solo nei confronti della ribelle Taiwan, ma anche nel recente scontro con il Giappone, reo di aver “dimenticato” le atrocità perpetrate nella Seconda Guerra Mondiale, ma anche potenziale nuovo membro permanente nel Consiglio di Sicurezza dell’Onu allargata. Lo spettro di piazza Tiananmen aleggia ancora.

In questi giorni sono stati arrestati alcuni giornalisti e intellettuali che avevano pubblicato un manoscritto contenente interviste rilasciate dal leader riformista Zhao Ziyang, morto a Pechino nel gennaio scorso e oppositore del massacro del 3 e 4 giugno 1989.

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