Ha promesso di togliere i politici dai consigli di amministrazione delle aziende municipali e metterci persone competenti, insomma facce nuove nell’antica capitale. Ha promesso che in giro per la città ci andrà ad ascoltare e non a farsi bello. Ha promesso tolleranza zero contro criminali e clandestini che delinquono. Ha promesso che si occuperà di buche e rifiuti con la stessa tigna che anima oggi il cittadino. Ha promesso mutui agevolati. Naturalmente i suoi nemici principali li avrà nella coalizione, i duri e puri che lo detestano, che gli hanno, loro, attribuito i nomignoli di Ciccio Bello e di Piacione. Li avrà tra i veltroniani che non vorranno lasciare comodi scranni, vorrà anche occuparsi della faida nazionale nel Pd massacrato, e si lascerà andare, come in passato, a una gestione senza nerbo, che oggi è esiziale. Però non morirà nessuno, non sarà una catastrofe, Silvio Berlusconi premier ascolterà le richieste di Francesco Rutelli sindaco perché è così che si fa, Gianni Alemanno avrà il suo posto al governo che, non si capisce perché, gli viene tenuto in caldo, quasi a compensare un sacrificio, aver accettato il grande onore di candidato sindaco della capitale, che tale non dovrebbe essere; alla fine un qualche power balance, l’equilibrio nella distribuzione del potere, che in molti Paesi a democrazia compiuta viene preservato oculatamente dagli elettori, sarà rispettato.
Tanto il modello Roma è finito fragorosamente quindici giorni fa con la sconfitta politica del suo Divo, che in nome del successo a Roma si era candidato a primo ministro, e non è riuscito a proporre niente di credibile. Il modello Roma è finito con la scoperta delle baracche, degli stupri, dei rifiuti che da Napoli non ci metteranno molto ad ammassarsi fuori da Malagrotta, unica discarica, e così si è sgretolato il palazzo di cartone; come un re nudo, un’amnesia finita di colpo, i cittadini hanno messo insieme le buche, i mezzi pubblici, gli ambulanti aggressivi dei semafori, gli autobus turistici che invadono e bloccano il traffico, la fatica quotidiana di vivere in una città che ogni giorno di più si allontana dal resto d’Europa.
Francesco Rutelli questo lo sa benissimo, e non a caso del modello ha evitato di parlare, ha cercato anzi di liberarsi, fino alla batosta del primo turno che lo ha obbligato al ballottaggio, sia pure con un buon margine di vantaggio. Rutelli non assomiglia alle frasi dissennate che nei giorni seguenti, perdute le elezioni politiche e nella paura di ripetere la sconfitta perfino nella capitale dopo tanti anni di potere indiscusso, il centro sinistra gli ha attribuito e anche fatto dire. Non è Walter Veltroni, intanto perché non ha bisogno di dire «mai stato comunista», visto che comunista per davvero non è stato mai. Ha sbagliato, certo, a parlare di fascismo, archeo e neo, perché è inutile e perfino stupido agitare una paura che non è visibile, e che gli italiani sanno appartenere al passato, di fronte a una paura contemporanea e feroce, com’è diventata quella della sicurezza.
Francesco Rutelli è stato il primo sindaco eletto direttamente dai cittadini. Nei suoi mandati, vari cambiamenti e numerosi tentativi di riforme li ha tentati, poi progressivamente si è «adeguato». Alcune innovazioni (una per tutte, il divieto del centro storico ai bus turistici), sono state vanificate dal suo successore. Pesco a piene mani da un libro preziosissimo «Modello Roma il grande bluff», scritto da Benedetto Marcucci, editore Rubbettino, che non si capisce perché non è stato adottato come vademecum del centrodestra nella campagna elettorale. Tutti lo citano, ma evitano di nominarlo. Forse, ma la maligna sono io, non è piaciuto che un capitolo sia dedicato alla passività, durata a lungo, e all’inadeguatezza dell’opposizione di centrodestra della capitale.
Quando Rutelli arrivò in Campidoglio, la macchina comunale capitolina era, come è ancora, divisa in due blocchi: uno d’origine democristiana, consolidato durante il trentennio di potere ininterrotto dalla Liberazione al 1976; l’altro di derivazione comunista, formatosi nel decennio successivo, sfruttando in modo scientifico la possibilità offerta da una legge, la 285 del 1977, frutto della stagione del «compromesso storico». Emanata per incentivare l’occupazione giovanile, in realtà presto si è trasformata in uno strumento di controllo partitocratico delle istituzioni. Rutelli provò in un primo tempo a liberarsi dalla morsa costituendo un suo staff, con gli enormi problemi che questo comportava per una persona proveniente da una storia politica, quella radicale, allora quasi totalmente priva di apparati e burocrazie di partito.
Francesco Rutelli oggi eredita i problemi vecchi che si sono incancreniti. Se si proverà a risolverne anche qualcuno, sarà rispettato e rispettabile, se cederà, sarà fuori con ignominia. Tertium non datur.
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