Covid, perché carica virale è alta? Ecco cosa è cambiato dall'estate

La curva epidemica sta salendo molto rapidamente e si fa sempre più concreto il rischio di ritrovarsi come in primavera, quando le strutture sanitarie erano al collasso

Covid, perché carica virale è alta? Ecco cosa è cambiato dall'estate

L'Italia è in allarme. Aumentano senza sosta le diagnosi di Covid. Nella giornata di ieri, venerdì 23 ottobre, si sono registrati 19.143 positivi e 91 morti, a fronte di 182.032 tamponi processati, un nuovo record. Ancora una volta è la Lombardia la regione più colpita (+4.916), seguita dalla Campania (+2.280) e dal Piemonte (+2.032). La curva epidemica sale in fretta ed è dietro l'angolo il rischio di ritrovarsi in breve tempo come in primavera, quando le strutture sanitarie erano al collasso. Ad aumentare di pari passo, infatti, è anche la carica virale, basti pensare che nell'80% dei casi positivi è ormai superiore a un milione. Per la precisione si tratta del numero di copie di materiale genetico del coronavirus presenti in un millilitro di materiale biologico prelevato con il tampone. Con essa, dunque, si indica l'entità del contagio virale contratto e la quantità di virus in circolo in grado di indurre la positività dei test diagnostici specifici.

Come per tutti i patogeni, dunque, anche per il Covid la contagiosità è direttamente proporzionale alla carica virale. Ciò significa che più questa è alta, più un individuo può diffondere in maniera "efficiente" il virus. Bisogna poi rammentare che una carica virale bassa è altresì pericolosa, in maniera particolare se ci si trova dinanzi a soggetti fragili, ovvero affetti da patologie varie o immunodepressi per i quali il rischio di ammalarsi in modo serio è elevato. Paolo Bonanni, epidemiologo e professore ordinario di Igiene all'Università di Firenze spiega che una carica virale alta non è sempre indice di maggiore pericolosità della malattia. Ci sono, infatti, individui con viremia considerevole con una gran tolleranza al patogeno. "I superdiffusori - afferma Pierangelo Clerici, presidente dell'Associazione Microbiologi Clinici Italiani e della Federazione Italiana Società Scientifiche di Laboratorio - sono i ragazzi o le persone con alta carica virale, ma sono asintomatici. Sicuramente nel paziente fragile la carica virale alta può avere come esito complicanze gravi".

In estate, a differenza della situazione attuale, si è constatata una prevalenza di tamponi debolmente positivi e ci si è interrogati su una possibile correlazione tra viremia e temperature elevate, presto smentita da Bonanni. L'intensa carica virale sarebbe, invece, da rapportare a una maggiore circolazione del virus nella popolazione. Non è vero tuttavia che durante il periodo estivo ci fossero solo cariche basse. Continua l'epidemiologo: "Da aprile a oggi la carica virale si è mantenuta quasi identica, è una questione di numeri e diffusione. Non abbiamo però un riscontro della carica virale media, perché queste analisi non vengono fatte se non a livello di singoli studi. L'errore è stato introdurre il concetto di 'debolmente positivo'. Sono persone che probabilmente non hanno più il virus in corpo, bensì solo tracce di Rna". Ma come si misura la carica virale?

Un modo esiste e si chiama CT, ovvero Cycle threshold ("ciclo-soglia"). Il tampone stabilisce la positività di un soggetto con una procedura nota come "reazione a catena della polimerasi (PCR)" che si basa su più cicli di amplificazione indispensabili per produrre una quantità rilevabile di RNA virale. Il valore CT corrisponde al numero di cicli necessari per individuare il patogeno. Il test è negativo se non si evidenzia un segnale positivo dopo 37-40 cicli. I campioni che risultano positivi, però, possono avere CT molto differenti, a loro volta indicanti quantità virali diverse. Lo stesso campione è in grado di fornire vari valori CT in base ai macchinari di laboratorio, inoltre i tamponi successivi dei medesimi pazienti possono dare risultati dissimili.

Nonostante sia utile conoscere, oltre alla positività, anche il grado di carica virale, il valore CT non è una scala assoluta. Studi in merito hanno dimostrato che, nei primi giorni di infezione, i pazienti hanno valori CT inferiori a 30 e spesso a 20. Tradotto significa che il livello di contagiosità è elevato. Man mano che il corpo elimina il Covid, i valori CT aumentano in maniera graduale e, dunque, la carica virale diminuisce. In una ricerca pubblicata su Clinical Infectious Diseases, alcuni scienziati guidati da Bernard La Scola, esperto di malattie infettive presso IHU-Méditerranée Infection, hanno esaminato 3.790 campioni positivi con valori CT noti al fine di vedere se contenevano virus vitali.

È emerso che il 70% dei campioni con valori CT di 25 o inferiori avrebbero potuto replicarsi, rispetto a meno del 3% dei casi con valori CT superiori a 35.

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