In principio fu “Tachipirina e vigile attesa”. Poi venne l’idrossiclorochina, scartata dagli studi e ancora sponsorizzata da alcuni. Infine fu il tempo dei cortisonici, prima malvisti, poi approvati, infine limitati ai soli casi gravi di Covid-19. È la lunga battaglia delle “cure domiciliari”, fatta di esperienze serie, altre un po’ meno, relegata dai grandi media nello spazio dei complottismi quando meriterebbero almeno dibattito scientifico. L’ultimo a lamentare poca attenzione da parte del ministero della Salute è Fabrizio Salvucci, cardiologo all’ospedale di Pavia, in prima linea contro il Covid, che dopo due anni di pandemia ha una certezza: “La cosa più importante è intervenire subito, nei primi minuti. Se lo si fa correttamente, si evita il ricovero e soprattutto la formazione dei trombi che portano, purtroppo, alla morte”.
Salvucci, intervistato da Libero, ci tiene a precisare che cure domiciliari e vaccini non sono esclusivi. Semmai complementari. I primi servono ad evitare che i casi gravi portino al decesso. I secondi che la malattia non si manifesti con tutta la sua violenza. L’esempio guida è il Giappone: lì hanno usato sia i vaccini sia "gli anticorpi monoclonali”, sponsorizzati anche da Francesco Vaia, direttore dell’Inmi Spallanzani. E il risultato è li da vedere: hanno molti contagi, è vero, ma pochissimi morti”. Per questo, e forse non solo, ai promotori delle cure domiciliari non sono andate giù le nuove linee guida rilasciate dal ministero della salute nel novembre del 2021. Il motivo? Semplice: “Sostanzialmente sono identiche a quelle di un anno prima”. Il che porta a due domande: possibile che in un anno di epidemia non si siano fatti passi avanti? “Ma come - insiste Salvucci - allora non ci ascolta proprio nessuno?”.
Anche per questo Erich Grimaldi, presidente del comitato per la Cura domiciliare Covid-19, si è presentato in procura a Roma e Bergamo per depositare due esposti ai magistrati. L’obiettivo è quello di far luce sulla gestione dell’epidemia, ma anche per chiedere conto a chi di dovere del motivo per cui non sarebbero stati coinvolti i medici di medicina generale che, da mesi, curano i pazienti a domicilio. “La mia prima richiesta di lavorare a un protocollo di cura domiciliare univoco nazionale risale al 30 aprile 2020 - racconta a Libero Grimaldi - Da allora è stato un continuo tentare di dialogare con il ministero della Salute, offrire esperienze, disponibilità, poter dare una risposta a questa grave emergenza”. Senza grossi risultati. “Nonostante un tentativo da parte del sottosegretario Pierpaolo Sileri (M5s, ndr) di organizzare un tavolo che coinvolgesse i medici che hanno curato i malati covid in fase precoce, non è stata data alcuna possibilità a queste centinaia di professionisti di portare il proprio bagaglio di esperienze al servizio delle istituzioni”.
Se alcuni malati si sono trovati “abbandonati a casa dai medici alle quali iene detto di attendere l’evolversi della malattia assumendo solo paracetamolo”, dice Grimaldi, è il diritto dei cittadini sapere cosa non abbia funzionato. La procura di Bergamo su questo piano sta già indagando, e gli investigatori sono arrivati a toccare gli alti gradi del ministero.
A Roma invece è incardinato un procedimento civile in cui i familiari delle vittime di Bergamo chiedono il risarcimento danni, e l’ammissione di responsabilità, per le vite spezzate nella prima ondata di Covid-19. "Linee guida o meno - chiosa Grimaldi - questo è quanto ha prodotto questa gestione. Ed è giusto che si faccia luce su eventuali responsabilità".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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