Antonio Pappano allindomani dellinaugurazione della stagione sinfonica dellAccademia di Santa Cecilia, incontra il pubblico per parlare di Puccini e le donne, nella vita e nelle opere, e anticipa progetti e sfide future: tournée (Vienna, Bratislava), la Scala (Filarmonica, il 7 novembre), larrivo di Muti a Roma, la prima assoluta di Hanz Werner Henze, l'ambiente italiano. «Non sono un intellettuale, mi piace parlar damore, e se posso parlarne ancora, ritorno con grande piacere. Ora dobbiamo interrompere, altrimenti oggi non si mangia». E giù un applauso lunghissimo dalle oltre mille persone che hanno riempito, domenica mattina, la Sala grande dell'Auditorium, per ascoltare per due ore di fila Pappano.
Lui si inventa un nuovo genere di conversazione operistica, quasi un melologo, dove al canto sostituisce la recitazione, accompagnandola con la musica. E il pubblico gradisce. «Dirò uneresia, ma prima che dalla musica di Puccini sono attratto dal modo moderno con cui egli disegna i personaggi femminili e li plasma, sotto l'influenza dellamore».
Pappano viene fuori da un altro bagno di folla. Sabato sera (si replica oggi e domani) ha inaugurato la stagione sinfonica dellAccademia con la Missa solemnis di Beethoven: lintera civiltà musicale dOccidente condensata in poco più dunora; una musica che accarezza poco lorecchio, scaturisce dallintelligenza, e ad essa principalmente si rivolge, e nutre anche il cuore.
Con la «Messa in si minore» di Bach, sulla quale dice di meditare da tempo, la prossima inaugurazione?
«Non ho ancora trovato la strada giusta per Bach. Sarà per unaltra volta. La prossima, inaugureremo con la Sinfonia n. 8 di Gustav Mahler».
Dopo la Messa di Beethoven, quale altra sfida attende lei e i complessi dellAccademia? Come giudica latteggiamento del pubblico?
«Il pubblico era disorientato. Si attendeva un finale glorioso, mentre Beethoven termina la Messa smorzando, senza clamori. Dopo un monumento di musica di quella grandezza, il finale in tono pastorale lo ha lasciato interdetto, incerto. La prossima sfida, in gennaio, sarà la prima mondiale di Immolazione, di Hans Werner Henze, uno dei più grandi musicisti viventi. Se una rivista ha decretato che la nostra orchestra è una delle dieci più grandi orchestre del mondo, questo certamente ci fa piacere, ma non deve esimerci da sfide sempre maggiori. Anche una tournée è una nuova sfida (a novembre torneremo al Musikverein di Vienna). Nellarte non cè mai un traguardo definitivo».
Larrivo di Riccardo Muti a Roma, come direttore dellOpera può rappresentare per Santa Cecilia, implicitamente, una sfida?
«Le porte dellAccademia sono sempre aperte per Riccardo. La vita musicale a Roma si arricchirà con il suo arrivo. Certo ci muoviamo su due terreni differenti, la musica sinfonica e il melodramma, ma io che vengo dallopera, so bene quanto sia fondamentale la presenza di un direttore per limpronta che dà al teatro. Sono molto contento del suo arrivo».
Sè fatto unidea della attuale situazione della musica nel nostro Paese?
«Per alcuni mesi sono stato lontano da Roma. Ne saprò di più nelle prossime settimane. Certo cè unaria diversa. Cè paura e questo mi preoccupa. Ma i momenti di crisi possono rappresentare anche delle opportunità. Sinceramente, però, non capisco perché il Governo sembra non credere nellarte».
Lorchestra, la sua orchestra, dopo tre anni intensi di lavoro la vede trasformata? Dica spassionatamente.
«LAccademia gode di nuovo oggi di un riconoscimento internazionale, che aveva fino a tanti anni fa. Nellorchestra cè un approccio alla musica, unattenzione al suono che non cera quando sono arrivato. E questo ci ha guadagnato la fedeltà del pubblico».
Il 7 novembre inaugura la stagione della Filarmonica della Scala. Il teatro milanese sarà il prossimo approdo della sua attività stabile in Italia?
«Conosco Lissner dai tempi di Parigi, quandera allo Châtelet, dove ho spesso diretto, dietro suo invito. Dirigerò alla Scala unopera solo nel 2012 (Manon di Puccini); e nel 2014 porterò a Milano una produzione del Covent Garden (Les Troyens di Berlioz).
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