Scafisti dell’ingiuria

La tragedia consumatasi sulle coste della Sicilia, con un mare che non è sempre quello delle cartoline e del nostro immaginario turistico, ferisce due universi collegati eppure distanti. Colpisce - perché piove sempre sul bagnato – il mondo della miseria cronica e del bisogno da cui muovono, con l’energia che non riescono a dispiegare nelle terre d’origine, i disperati che fanno ricchi gli scafisti, moderni negrieri col telefonino satellitare. Ferisce anche noi, cittadini di un universo in cui la vita umana è un valore fondamentale, di un Paese in cui marinai e poliziotti rischiano ogni giorno la vita, per vigilare, sì, ma anche e forse soprattutto per soccorrere, in quel canale di Sicilia in cui il mare è incantevole soltanto pochi mesi all’anno.
Mare forza sette, fragili scafi recuperati nei porticcioli dove marcivano e sovraccaricati di sventurati, scafi che a un certo punto cominciano a imbarcare acqua e a disfarsi, speranze malriposte. Contiamo i morti, uomini nostri scrutano il mare e i fondali e avvertiamo il peso della tragedia.
Tutti l’avvertiamo, tranne i professionisti del singulto che praticano lo sciacallaggio politico, i dirigenti dell’Arci, per esempio.
Sostengono, questi scafisti della polemica politica, che i nove morti della tragedia compiutasi nel Canale di Sicilia, né più né meno, sono vittime della legge Bossi-Fini. Non degli scafisti che li hanno affidati, dopo essere stati pagati, a un guscio di noce; non del mare che non sa leggere i commi e i combinati disposti delle leggi, ma della Bossi-Fini.
Sciacallaggio. La nota dell’Arci in cui si accusa stoltamente la nostra legge sull’immigrazione di avere provocato la tragedia sulle coste del Ragusano, ammette che alle frontiere dell’intera Europa i clandestini morti sono ormai seimila.
La stragrande maggioranza di questa cifra angosciante si riferisce a Paesi in cui la Bossi-Fini non è in vigore, perché ovviamente non sono l’Italia. Ma gli sciacalli non sanno contare, spesso fanno confusione.
Il documento dell’Arci fa riferimento, in termini sprezzanti e negativi, alla «fortezza Europa», che avrebbe il torto di tentare di difendersi, con timidezza e debolezza estrema. Ma quale fortezza? L’Europa è aperta, forse troppo, e l’Italia, con le sue coste favorevoli a ogni invasione, è la sua porta. Il «ventre molle», direbbe qualcuno suggestionato dalla memoria.
Ma cosa propone l’Arci? Propone la politica delle porte aperte, sempre e comunque. Propone che l’Italia rinunci al diritto di regolare i flussi migratori e di respingere gli irregolari per accogliere tutti, comunque e sempre. I pensatori dell’Arci non sono turbati dai limiti che fatalmente il nostro welfare, il nostro sistema di sicurezza sociale, dovrebbe stravolgere e superare, che tutti i disperati arrivino e s’installino, fino a renderci intolleranti, rabbiosi, violenti. In nome della solidarietà che andrà perduta. E, naturalmente, tutta la «fortezza Europa» dovrebbe regolarsi nello stesso modo. Peccato che il governo spagnolo, guidato da quello Zapatero così caro all’Arci, abbia fatto sparare sulle folle di africani desiderosi di entrare in territorio spagnolo.
Sì, la presa di posizione dell’Arci è stupefacente. Anche perché critica il tentativo del governo italiano di stringere accordi anti-clandestini con i governi dei Paesi nordafricani.
Dice, l’Arci, che questi Paesi sono illiberali.

Ma non erano fra i regimi preferiti da certo terzomondismo spericolato?
E comunque sono gli unici con i quali si possono stringere accordi. Per motivi geografici e di realismo politico.
Gli sciacalli non sanno contare e non hanno memoria.

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