Scalfari, il guru diventato poeta per gli amici è il nuovo Leopardi

Il fondatore di "Repubblica" dà alle stampe l'ennesimo libro. Il suo giornale e i critici radical-chic lo celebrano. Paragonandolo al genio di Recanati

Scalfari, il guru diventato poeta per gli amici è il nuovo Leopardi

Da giovane firma del Regime fascista a fondatore de la Repubblica e dunque della Repubblica dei (sedicenti) Migliori. Dal pulpito del quotidiano, Scalfari, classe 1924, si è erto per decenni a giudice della politica, dell'economia e della moralità d'Italia. Arrivato a una certa età, Scalfari deve però essersi stufato di scomunicare soltanto i presidenti del Consiglio di turno o i cafoni di destra, e ha deciso di estendere il messaggio pastorale anche alla Repubblica delle lettere. Lo Scalfari-guru inizia con Incontro con Io (Einaudi, 1994) e per ora finisce col recentissimo L'allegria, il pianto, la vita (Einaudi). Quest'ultima si direbbe una raccolta di pensieri, ricordi e poesie zoppicanti. Il genere di libro che si pubblica per narcisismo, per tributare un omaggio a se stessi. Invece no. Repubblica chiarisce come stanno le cose, dedicando al libro due pagine ove l'adulazione raggiunge vette fino a quel momento inviolate: «Per immaginare il futuro bisogna avere il coraggio di penetrare la realtà, esercizio coltivato da Scalfari nelle sue molteplici vesti di fondatore di giornali, scrittore, pensatore, saggista di storia, ora anche poeta». Ma poeta è troppo poco oltre che generico. Meglio specificare. Quindi Scalfari «reinventa la forma dello Zibaldone ». Esatto: lo Zibaldone di Giacomo Leopardi, tanto per non esagerare. Sono poi citati, a vario titolo, Rilke, Montaigne, Rousseau, Keats, Shakespeare. E Laurence Sterne, in questo altro passaggio da incorniciare (si fa per dire) ove la prosa va di pari passo all'intuizione critica: «Addirittura compare un inizio di racconto cui lo ispira la lettura dell'ode a Euridice di Rilke, che con geniale interruzione alla Tristram Shandy interrompe». Siete stupiti? Vuol dire che non avete letto le recensioni dei saggi precedenti in cui Scalfari veniva accostato anche a Nietzsche, Croce, Cartesio, Socrate, Eraclito, Parmenide, Proust, Hölderlin, Arendt, Valéry, Eckhart e Pascal. Tra i giudizi indispensabili per capire la statura del Fondatore, ricordiamo almeno quelli del critico letterario Alberto Asor Rosa e del teologo Vito Mancuso, solo per caso entrambi collaboratori di Repubblica . Alberto Asor Rosa: «Le cime della modernità sono scalate dal nostro autore con straordinaria agilità e incredibile capacità comunicativa, che però non diviene mai volgarizzazione». Vito Mancuso: «Cartesio, Spinoza, Kant, Freud ... sono i filosofi che hanno contribuito a formare Scalfari, che poi li ha per così dire superati». Ecco, appunto, per così dire. «Inevitabile» è stato dedicare all'opera di Eugenio Scalfari un Meridiano Mondadori. Ma uno solo, sia pure di 1797 pagine, non sarà riduttivo?

Torniamo per un attimo al passato di Scalfari. La sua carriera riflette le contraddizioni di una intera generazione passata dal fascismo all'antifascismo con una rapidità impressionante, riuscendo a sentirsi sempre dalla parte giusta. Il giovane Scalfari intona odi al regime. «Gli imperi moderni – scrive – quali noi li concepiamo sono basati sul cardine razza, escludendo pertanto l'estensione della cittadinanza da parte dello stato nucleo alle altre genti». Mussolini svetta come un gigante nella considerazione di Scalfari: «Ancora oggi è la stessa voce del Capo che ci guida e ci addita le mete da attingere. Oggi mentre sembra che Sua Maestà la Massa (come la definì il Duce in un lontano giorno) mascherata da veli più o meno adeguati tenti di riprendere il suo trono, è necessario riporre l'accento sull'elemento disuguaglianza, che il Fascismo ha posto come cardine della sua dottrina». (Cito da Walter Mariotti, Lo Scalfarino portatile , Mondadori, 1994; e dalla fondamentale biografia non autorizzata Scalfari, una vita per il potere di Giancarlo Perna, edita da Leonardo nel 1990. Lo stesso Perna notò come ogni libro critico sul Fondatore sia accolto dal silenzio assoluto). Qualche anno fa, Scalfari ha ricordato il suo passato in una bella intervista rilasciata a Pietrangelo Buttafuoco per Il Foglio nel 2008: «Io adoravo la divisa fascista. Era molto elegante la tenuta. Avevo la giacca, la sahariana, i pantaloni grigio verde a sbuffo alto, gli stivali, le losanghe sulle spalle, idem sulle maniche, con le stelline, quindi il fazzoletto azzurro e la camicia nera naturalmente». Naturalmente. Nel 1942 comunque viene espulso dai Guf per aver lanciato accuse di speculazione poco circostanziate nei confronti di gerarchi implicati nella costruzione dell'Eur.

Dopo la guerra, si avvicina ai liberali. Entrato in contatto col Mondo di Pannunzio, se ne dichiara erede. Purtroppo emergono delle lettere in cui Pannunzio, in un carteggio con Leo Valiani, gli dedica queste parole: «È instabile, femmineo, esuberante. Non ha veri legami né affinità ideali e morali con nessuno. Tutto è strumentale, utilitario; tutto deve servire alla sua “splendida” carriera. Ha fretta, vuole arrivare. Dove? Forse non lo sa nemmeno». Categorico nelle questioni giudiziarie altrui, Scalfari non esita a farsi eleggere, nel 1968, nelle liste del Psi al fine di farsi scudo con l'immunità parlamentare di una condanna a 15 mesi di carcere (in seguito al falso scoop sul presunto colpo di Stato noto come piano Solo). Poco incline a perdonare i peccati altrui, Scalfari sarà altrettanto spietato con se stesso? Chissà come giudica oggi l'aver firmato nel 1971, assieme al gregge degli intellettuali, la lettera aperta a L'Espresso sul caso Pinelli, un manifesto che contribuì a isolare il commissario Luigi Calabresi, poi ucciso da un commando di Lotta continua. Come commentatore, i maligni sottolineano i voltafaccia e gli errori di valutazione. Ad esempio, in campo economico, nel 1959, predisse sull' Espresso il sorpasso dei soviet: «Nel 1972 l'Urss sarà addirittura passata in testa non soltanto come potenza industriale ma anche come livello di vita medio della sua popolazione». In politica non è andata meglio. Prima estimatore di Bettino Craxi divenne poi sostenitore di Ciriaco De Mita (contro Craxi). Nemico giurato di Silvio Berlusconi, scrisse nel 1994: «Forza Italia è un partito di plastica che si scioglierà in pochi mesi». Fan di Veltroni contro D'Alema, dovette assistere alla vendetta di D'Alema. Da ultimo si è schierato con Bersani contro Renzi: sappiamo come è andata a finire, il leader toscano ha raso al suolo l'opposizione interna. Negli ultimi mesi, Scalfari ha trovato un'anima gemella in papa Francesco. C'è sintonia. Fossimo nell' entourage di Bergoglio, saremmo preoccupati...

Questi incidenti non hanno ostacolato l'ascesa e minato il fascino di Scalfari. Comprensibilmente, perché alla base di Repubblica c'è un'intuizione vittoriosa: oltre alle idee politiche, al lettore bisogna vendere uno stile di vita fatto di letture, ascolti, visioni, vestiti, viaggi e golosità. Missione compiuta: la versione sbiadita dell'egemonia culturale è sufficiente per amministrare il potere in questo campo. Le conseguenze? C'è la fila per baciare la pantofola del guru. Non solo. Il mito della superiorità antropologica della sinistra nasce anche da qui.

In nome di tale mito, a Repubblica si pontifica su tutto, dalla pizza bianca fino alla teologia della liberazione. In nome di tale mito, l'Italia è stata ingessata da vent'anni di guerra civile a bassa intensità. Anche di questo dobbiamo «ringraziare» colui il quale ha superato Cartesio, Spinoza, Kant e Freud.

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