SCAPIGLIATURA I figli del male dell’Italietta per bene

Una nuova antologia con tutti i poeti dell’avanguardia antiborghese e ribelle della Milano di fine ’800 Opere scandalose di vite ai margini

Cletto Arrighi, giornalista e scrittore noto soprattutto per il farraginoso romanzo uscito nel 1862 che diede il nome al movimento, La scapigliatura e il 6 febbraio, la presenta così: «Questa casta o classe - vero pandemonio del secolo - personificazione della storditaggine e della follia, serbatoio del disordine, dello spirito d’indipendenza e di opposizione agli ordini stabiliti, questa classe, ripeto, che a Milano ha più che altrove una ragione e una scusa di esistere, io, con una bella e pretta parola italiana, l’ho battezzata appunto: la Scapigliatura Milanese». E in effetti, gli scapigliati erano sicuramente folli, disordinati (materialmente e spiritualmente), indipendenti al limite dell’anarchia, ribelli - almeno culturalmente - rispetto ai canoni dell’epoca, pronti al bene quanto al male, inquieti e turbolenti. Come dimostrano la vita e le opere di quel gruppo di “maledetti lombardi”, un po' zingari un po’ bohémiens, formato da Emilio Praga, i fratelli Boito, Igino Ugo Tarchetti, Cletto Arrighi appunto, Carlo Dossi piuttosto che pittori come Tranquillo Cremona o Daniele Ranzoni, iniziatori di quella che probabilmente fu, tra il 1860 e il 1880, la prima avanguardia artistico-letteraria italiana. Anti-borghese, anti-conformista, e perché no?, anti-capitalistica.
Erano scrittori, poeti, giornalisti, polemisti, provocatori. Artisti. Vite “ai margini” in qualche modo. Ma che crearono, oltre a opere letterariamente tanto originali quanto diseguali, le condizioni per far entrare in Italia, quasi trafugati, temi e atteggiamenti dell’estetismo europeo, dal maledettismo francese del Baudelaire dei Fiori del male all’umorismo inglese di Sterne, Dickens e Thackeray fino al demoniaco e al fantastico tedesco di Hoffmann. E Milano - la piccola Parigi della Lombardia secondo Cletto Arrighi, uno amava le definizioni e le boutade - il centro-motore della nuova ribellione culturale. E lo divenne più per logica che per caso, visto che proprio in quel momento stava diventando la capitale del giornalismo e dell’editoria la città dove era più facile trovare lavori intellettuali e collaborazioni. E da qui si irradiarono programmi, idee, manifesti e provocazioni verso il resto d’Italia, da Torino a Palermo. «Senza Milano - ha scritto un critico letterario - non ci sarebbe stata la Scapigliatura».
Una bellissima occasione per (ri)leggere le opere poetiche più interessanti e significative, dal punto di vista letterario e storico, del movimento è la nuova antologia curata da Roberto Carnero, italianista all’università statale, dal titolo La poesia scapigliata (Bur-Rizzoli, pagg. 498, euro 15) e che seleziona versi dei tre “maggiori” (Praga, Boito, Tarchetti) accanto a quelli di autori di area milanese e lombardo-veneta (Ghislanzoni, Gualdo, Zendrini, Salmini, Pinchetti - che scrisse «Il Bello sta nell’Orrido / nella Beltà è l’Orror» -, Fontana, Cavallotti, Turati), piemontesi (Camerana, Cagna, Molineri) e poi campani, emiliani, liguri. Oltre cento poesie (e una dottissima introduzione dello stesso Carnero) che riassumono tutti gli odi e gli amori della “ribellione” scapigliata: l’opposizione radicale alla mentalità e ai modelli di vita borghesi, lo sprezzo per l’ordine costituito, la ricerca dello scandalo, la volontà di rinnovamento dell’espressione artistica, un certo anticlericalismo, un inusuale pacifismo (Tarchetti, ad esempio), una predilezione per l’onirico e il fantastico, l’abnorme e il patologico, fino a precipitare nel macabro e nel grottesco... Le stesse predilezioni che il pittore Luigi Conconi, morto nel 1917, concretizzò materialmente nella sua casa di via San Paolo 10, a Milano, considerata il museo della Scapigliatura e che lo scrittore Giovanni Battista Angioletti, passata la rivoluzione, descrisse così: «L’estremo romanticismo ottocentesco riposa là dentro nelle più strambe reliquie, ostinatamente ricoperte dalla polvere rossiccia delle demolizioni che si vanno facendo tutto intorno... In queste stanze il Conconi aveva raccolto tutto quanto l’estroso e bizzarro gusto del tempo poteva colpire la sua immaginazione, che al tempo s’adeguava senza posa...

Chi avrebbe oggi il coraggio di adornare il soffitto del proprio studio con cani, gatti, lucertole, salamandre e pipistrelli insecchiti, appesi ad un cerchio come le famose figurine femminili della Danza delle Ore? Chi terrebbe sul pavimento un piccolo pescecane imbalsamato? Eppure, era in quei tempi diffusa l’arguzia del Conconi, che diceva essere indispensabile un pescecane o almeno un coccodrillo in ogni rispettabile famiglia».

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