Basta prendere un pezzo di carta qualsiasi e una matita per sfogare la rabbia e lansia quotidiana. Basta disegnare una luna, un volto, un fiore, una figura geometrica o astratta non una ma dieci, venti, cento volte per liberare, almeno in parte, la nostra mente. Forse ormai non ci facciamo nemmeno più caso, ma capita a tutti, mentre si parla al telefono, si pensa a qualcosa o si ascolta una persona conversare, di riempire i fogli con semplici o intricatissimi scarabocchi apparentemente privi di un qualsiasi senso logico.
Eppure quell'universo di case (con finestre sbarrate o a grattacielo), di stelle (con o senza cometa), di cuori (semplici o attraversati da frecce), di coni (a punta in su oppure in giù) ripetuti in modo automatico e anche un po' ossessivo quasi all'infinito nasconde aspetti importanti della nostra personalità. Qualche esempio? Siete tra quelli che disegnano sempre il sole? Beati voi: vuol dire che state vivendo un periodo brillante, sicuri di realizzare presto tutti i vostri sogni e progetti. Continuate a riempire la pagina che avete di fronte con il vostro autografo? Sentite l'esigenza di affermare la vostra personalità con chi vi sta attorno e magari vi sottovaluta. Fate un disegno e poi subito lo annerite tutto? C'è qualcosa che non va: o vi state molto annoiando oppure siete davvero parecchio ansiosi.
Non per niente la psicopedagogista Evi Crotti e il medico e psicoterapeuta Alberto Magni chiamano questi scarabocchi che colorano pagine e pagine bianche di milioni di persone I disegni dell'inconscio, che è poi il titolo del loro libro (Oscar Guide Mondadori, pagine 119, Euro 9.90) in cui hanno provato a catalogare i principali sentimenti, stati d'animo, emozioni umane proprio attraverso i ghirigori. Per farlo hanno diviso segni e disegni che non ci stanchiamo di ripetere sui fogli in sei specifiche categorie: i «figurativi», come gli alberi, i volti, le case, che indicano introspezione e ricerca del proprio mondo interiore, i «complessi» formati dai tratti che danno origine a figure grandissime che significano voglia di socializzare, i «decorativi», tipo le greche ed i pizzi, sinonimo di perfezione e di pignoleria di chi li tratteggia, i «geometrici», dalle spirali ai labirinti, che vogliono dire razionalità ed ordine, gli «astratti», ovvero gli scarabocchi immaginari, indicativi del bisogno di venire notati e anche di essere più forti degli altri, e per finire i «riempitivi», cioè quelli che portano, per esempio, ad annerire le lettere di un titolo di giornale o ad applicare barba e baffi ad una fotografia e che rappresentano la voglia di riempire dei vuoti della propria vita.
«Generalmente nessun adulto riesce a fare a meno di scarabocchiare», spiega Evi Crotti, psicopedagogista esperta nella comunicazione non verbale e fondatrice a Milano di una scuola di grafologia. «Tutto parte dal nostro inconscio: di tanto in tanto ognuno di noi ha voglia di regredire all'infanzia e per farlo si mette a giocare con le matite o con le penne come quando era bambino ricreando un suo universo fantastico: i disegni vengono tracciati in modo automatico, senza pensarci, di solito si ripetono nel tempo, ma possono anche cambiare, denotando per esempio ansia, gioia o malinconia, in base alla situazione psicologica individuale di quel momento. In particolare nei periodi di serenità i ghirigori sono tondi, morbidi, convessi perché esprimono benessere interiore e piacevolezza, mentre quando i nostri pensieri sono attraversati da situazioni spiacevoli generalmente i tratti sono chiusi, spigolosi, incorniciati».
Segni, tracce, soltanto apparentemente, dunque, senza senso ma che non costituiscono una mania dei nostri tempi sempre più nevrotici se già Alessandro Manzoni amava riempire fogli di carta con ghirigori simili a molle che indicavano la sua costante ricerca di perfezione e se Ludwig Van Beethoven non si stancava di fare scarabocchi inanellati che si chiudevano con una linea indicando così il suo temperamento da un lato focoso dall'altro razionale.
«Gli esempi celebri sono tanti», ricorda Evi Crotti. «Honoré de Balzac, per esempio, continuava a disegnare spirali alla fine dei suoi scritti, una sorta di sfogo della mente che esprime distensione, mentre Jean Cocteau incorniciava le sue parole con una figura femminile dai lunghissimi capelli apponendo una stellina sotto il suo nome, a significare uno spirito sensibile sempre in cerca di armonia e di un ideale difficile da trovare, così come Giacomo Puccini a volte scarabocchiava accanto agli spartiti dei teschi con le tibie incrociate che lascia trapelare un sottofondo di ansia esistenziale e il tentativo di esorcizzare la morte».
Per fortuna solitamente gli schizzi non sono così macabri anche se questa mania ha ormai contagiato tutti. O quasi, perché, secondo i due autori de I disegni dell'inconscio scarabocchia meno chi fa lavori manuali soltanto perché non ha certo il tempo o la possibilità di stare seduto davanti ad un foglio bianco da riempire, attività in questi casi limitata ai momenti di relax, mentre sono certi che nella forma e nei significati i ghirigori da qualche tempo sono diventati unisex: «Ormai vi sono sempre più uomini che dimostrano un animo femminile disegnando fiorellini e donne che schizzano figure geometriche per significare la loro nuova mascolinità», spiega Evi Crotti. «In ogni caso pasticciare una pagina ha un effetto davvero positivo sulla nostra psiche perché è un modo di scaricare la tensione, di sfogare la rabbia e l'ansia quotidiana, per questo è consigliabile farlo anche in particolari momenti della giornata, per esempio di notte quando si soffre d'insonnia».
Scarabocchi che non sempre si disegnano, si dimenticano su un tavolo e poi si buttano ma che possono aiutare persino a trovare un lavoro (o a perderlo), perché spesso vengono anche interpretati per capire se la persona che si ha di fronte è indicata per un determinato posto. «Certo, non basta un ghirigoro per capire se un candidato va assunto oppure no», chiarisce la psicopedagogista che è anche consulente aziendale. «Però quello che disegna può dire molto sul suo carattere, sul suo modo di affrontare il lavoro e la vita.
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