Dominique Antognoni
Sognare e far sognare, sedurre, emozionare, toccare l'anima. È il mantra degli chef, ora anche il desiderio dei fotografi di food: è sicuramente il trend del momento, un nuovo genere che sta conquistando le pagine dei giornali e le librerie. Probabilmente durerà a lungo, perché i libri di alta cucina stanno sostituendo quelli di arte e di scatti d'autore. Se anni fa trovavi scaffali pieni di favolosi volumi patinati con le immagini dei vari Helmuth Newton e Richard Avedon, adesso sfogliamo lentamente i book table con pagine e pagine di piatti che sono autentici capolavori: scattano i migliori fotografi, impiattano gli chef del momento, la carta è super patinata. I prezzi, elevatissimi, com'è logico che sia.
Va detto che la fotografia gastronomica è assai difficile: i motivi sono tanti, a cominciare dal fatto che non esistono maestri e ancor meno una tradizione.
Si è iniziato relativamente tardi, il primo ad aver dato un senso ai piatti fu Johann Willsberge, che nel 1986 ha fondato la rivista Gourmet, inventando la moderna foto gastronomica.
Bob Noto se lo ricorda bene: «È stato il mio idolo. Come ho iniziato? Amavo la fotografia fin da ragazzo, poi mi sono appassionato alla cucina: facendo uno più uno, eccomi a scattare il food. Evidente che oggi c'è una maggior attenzione per l'architettura del piatto, ma alla fine degli anni settanta Gualtiero Marchesi già creava il suo riso foglia d'oro. Dieci anni fa ho realizzato per la casa editrice Cucina e Vini un libro che vende tanto ancora oggi, si intitola Sei. Abbiamo scelto, appunto, sei cuochi che secondo noi sarebbero diventati famosi e posso vantarmi di aver visto giusto: Carlo Cracco, Paolo Lo Priore, Davide Scabin, Moreno Cedroni, Massimo Bottura, Enrico Crippa, a quei tempi fu quasi un libro all'avanguardia. In assoluto, i piatti più difficili da fotografare sono i risotti e le zuppe, mentre mi esalto tantissimo a scattare gli spaghetti: hanno qualcosa di perverso, di proibito, quasi di trasgressivo. Fra i colleghi tenete d'occhio Sergio Coimbra, tecnicamente il migliore e la francese Amelie Lombard».
Di altissimo livello anche il suo amico Lido Vannucchi: «Io parto dall'idea che un fotografo deve narrare una storia, per cui prima di scattare deve sedersi a tavola con lo chef, conoscerlo, capirlo. Solo così i piatti potranno avere un'anima, altrimenti rimane uno still life qualsiasi, senza vita. Mi piace moltissimo lavorare con Massimo Bottura ed Enrico Crippa, dei veri esteti e autentici testimonial del proprio territorio. Fra i giovani Valentino Cassanelli, allievo di Cracco e Cristian Tomei, uno show man con un modo di comunicare nuovo, non ha un menù. Mi piacerebbe fotografare i piatti di Ferran Adrià e Rene Redzepi: nel frattempo insegno all'Alma, ormai la fotografia di food è una vera esigenza, anche i cuochi si sono accorti della sua importanza, perché hanno bisogno per la propria immagine».
Insegna fotografia anche Barbara Santoro, al Gambero Rosso: autrice di libri cult («Il pranzo gourmet» di Felice Lo Basso), ci racconta così il suo mondo: «Va a gusti, ma prima di tutto devi amare visceralmente il cibo. È problematico fotografare i carpacci ed il salmone, perché sono stesi, sottili e allora devi scattare da sopra, per forza di cose.
I piatti sviluppati e costruiti puoi fotografarli a 45 gradi, però va detto che i ragionamenti li devi fare molto veloce, in massimo due minuti. I più difficili da fotografare sono i dolci». Forse l'aspetto più difficile è guardare le immagini senza poter assaggiare i piatti.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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