Lo scatto del borghese

La sgangherata finanziaria Prodi-Padoa Schioppa-Epifani-Visco sta provocando una diffusa e crescente protesta dei ceti medi. Il Corriere della Sera, un tempo giornale della borghesia del Nord, nei giorni scorsi sghignazzava per la protesta degli imprenditori di Treviso: solo tremila sui novantamila della provincia. Così si scriveva sulle pagine del quotidiano di via Solferino. In realtà non è facile far scendere in piazza imprenditori e commercianti com'è avvenuto con successo in Veneto. Né è semplice far sfilare avvocati e notai in grisaglie tra i frizzi e i lazzi dei giornalisti brillanti che sfottono i ricchi che protestano. E, in questo quadro, è importante ragionare perché cresca la protesta. Non è una questione di «soldi»: su questo hanno ragione quelli che dicono che un migliaio di euro di uscite in più, non è un problema tragico per chi dispone di redditi medio alti. È una questione di dignità: finalmente i ceti borghesi italiani si oppongono apertamente a chi non solo li torchia fiscalmente ma li sputacchia moralmente. Usciamo da una lunga tradizione in cui il borghese non poteva che vergognarsi della sua attività perché in qualche modo arricchendosi, non poteva non essere un peccatore. A questa consolidata ideologia si richiamano ancora oggi, esplicitamente, non solo i rifondaroli con i loro manifesti «anche i ricchi piangano» o gli editoriali di Piero Sansonetti che su Liberazione sostiene non vi possa essere ricchezza personale senza furto. I rifondaroli non sono i soli - come si scriveva - a sostenere questa tesi: lo fa anche quello che si è rivelato un mediocre tecnocrate senza visione, Tommaso Padoa-Schioppa, che si chiede perché «si lamentano i ricchi», lo fa Romano Prodi che chiama scelta di equità l'inasprimento fiscale (che magari può essere socialmente indispensabile ma non è mai in sé equo), lo fa Vincenzo Visco che usa parole quasi da guerra civile per obiettivi che dovrebbero essere politici come il superamento dell'evasione fiscale.
La nuova protesta dei ceti medi (dalla giovane barista che con i soldi di mamma e papà ha aperto il suo esercizio e che insulta Prodi quando vai a consumare un caffè nella sua bottega, fino all'imprenditore che si vede tagliare i mezzi proprio ai primi segni di ripresa più gagliarda) nasce innanzi tutto da questo scatto di dignità. E non è solo un fatto di classe. Il lavoratore della piccola impresa della marca trevigiana è accanto al suo «padrone» nel difendere l'uso del Tfr per lo sviluppo (scelta su cui non manca di far sarcasmo Massimo D'Alema), anche perché sa come in una civiltà evoluta il bastone d'imprenditore si trovi nello zaino di ogni operaio qualificato che guarda in avanti. In questa situazione il centrodestra ha di fronte a sé un'occasione storica: trasformare una protesta in coscienza civile, in coscienza borghese, cioè in consapevolezza che l'arricchimento economico e personale si può e si deve sposare con l'arricchimento civile e sociale. In questo sta l'essere borghesi e non solo imprenditori affannati in qualche scambio, magari opportuno come quello sul taglio del cuneo fiscale o impresentabile come il pagamento statale della mobilità lunga per certe grandi imprese. Ci si lamenta molto perché in Italia non c'è uno stato e una morale pubblica all'altezza del resto dell'Europa, questo avviene anche perché la coscienza borghese si è lasciata avvilire.

Approfittare della situazione per risvegliarla (e per farlo servono anche grandi e unitari partiti nazionali), è un compito assai più affascinante che pensare a un aumento dello 0,1% dei suffragi di questo o quel partito.

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