Scelba, il ministro troppo «celerino»

Duro nelle repressioni, fu in realtà un rigoroso difensore delle libertà democratiche: una biografia lo rivaluta

Ho la convinzione che Mario Scelba sia stato maltrattato dai saggisti italiani - nella quasi totalità di sinistra - che di lui si sono occupati. Resta di Scelba l’immagine d’un «ministro di polizia», d’un istigatore di repressioni «celerine», d’un clericale del Sud refrattario al vento del progresso e alle riforme sociali. Cronisti di politica e di costume che hanno usato straordinaria indulgenza verso i più spudorati voltagabbana sono stati invece severissimi nei confronti d’un uomo coerente.
Di sicuro Scelba lo fu. Lo intervistai, poco tempo prima che morisse, grazie all’intermediazionbe amichevole del nipote Tanino, figlio del fratello gemello Giacomo. Parlava a stento ma era lucido. Ammise d’aver fatto - come a tutti capita - errori, ma rivendicò con orgoglio la sua onestà, la sua buona fede, il suo patriottismo. Gabriella Fanello Marcucci, studiosa del mondo cattolico - e in particolare di don Luigi Sturzo, maestro e guida spirituale di Scelba - pubblica ora un libro Scelba. Il ministro che si oppose al fascismo e al comunismo (Mondadori, pagg. 370, euro 19) che fa giustizia di tanti ritratti malevoli. Una convenzione comoda assegna a Scelba - nell’accoppiata con Alcide De Gasperi - il ruolo del vilain: il politicante cattivo, e anche piuttosto brutto, contrapposto a uno statista di alto livello.
La realtà era per molti aspetti diversa. Scelba era repubblicano molto più decisamente di De Gasperi. E non si nascondeva le carenze del partito che - contro la sua volontà - aveva sostituito l’etichetta di «popolare» con quella di Democrazia cristiana. In una lettera dell’agosto 1944, poche settimane dopo la liberazione di Roma, scrisse a don Sturzo una lunga lettera con passaggi di irresistibile anche se involontario umorismo. A proposito della mancanza di «quadri» osservava: «Al convegno di Napoli un oratore propose che non potesse essere eletto alla carica di consigliere nazionale del partito chi avesse preso la tessera (fascista n.d.r.). Contro la proposta fui costretto a sostenere la tesi di una maggiore larghezza, perché a conti in precedenza fatti con gli amici, non sarebbe stato possibile fare il consiglio nazionale». Tranne lui, Scelba, e pochi altri, gli aspiranti a un ruolo politico erano stati tutti fascisti.
Certo Scelba fu duro, nel reprimere i disordini. Certo Scelba fu spregiudicato, nell’avallare alcune menzogne ufficiali (come per l’uccisione di Salvatore Giuliano). Mai tuttavia covò il proposito di sopprimere o attenuare le libertà democratiche. Non lo fece neppure quando - a seguito dell’attentato di Pallante a Palmiro Togliatti del 14 luglio 1948 - vi furono episodi di chiaro stampo insurrezionale. Anticomunista «viscerale», come usa dire, Mario Scelba. E anche avversario dell’apertura ai socialisti: nel che aveva probabilmente torto perché proprio quell’apertura democristiana sottrasse Nenni al letale abbraccio di Togliatti. Mai però tentato, Scelba, da idee di «golpe» e di uso della violenza: idee che invece allignavano sia in settori di destra, sia nelle cellule comuniste dotate di arsenali. Le idee che nascevano nelle cellule si esaurivano poi al vertice del Pci perché in quel momento Stalin non voleva nel quadro internazionale una crisi italiana, e Togliatti eseguiva fedelmente gli ordini. Scelba comunque ribadiva: «Noi non siamo per la dittatura o per la maniera forte, siamo nel rispetto rigoroso delle leggi della democrazia...

Aiutateci nel compito di ricostruzione e di stabilizzazione democratica, non operate contro la democrazia». Quell’uomo, che ebbe la responsabilità dell’ordine pubblico in tempi calamitosi, va ricordato con affetto e rispetto.

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