Le sceneggiate sull'arte fra roghi e acqua rossa

Dalla «Venere degli stracci» data alle fiamme alla fontana di Trevi colorata e ai quadri distrutti

Le sceneggiate sull'arte fra roghi e acqua rossa

Si sentono in colpa. E non ragionano. Qualche bagliore, tra le espressioni dolenti, si vede. Le parole di Erri De Luca sul rogo delle streghe, qualche sorriso cameratesco di Mimmo Paladino, come una gomitata di complicità, il resto è un profluvio di stupidaggini insensate, di proteste atteggiate contro l'ignoranza. E l'ignoranza è la loro. La Venere degli stracci è salva, e non nella memoria. Esistono diverse versioni di quest'opera, conservate in varie istituzioni museali: la Fondazione Pistoletto di Biella, il Madre - Museo d'arte contemporanea Donnaregina di Napoli, il Museo d'arte contemporanea del Castello di Rivoli e la Tate Gallery di Liverpool.

È prima di tutto un'idea. Una buona idea concepita nel 1967. La sua traduzione nella realtà era già, di fatto, una scenografia. Niente di più e, come avete letto, una delle originali sta a Napoli, sicura, protetta, in un museo. L'allestimento, l'installazione in Piazza Municipio a Napoli che è stata bruciata da un senzatetto il 12 luglio scorso è una replica, sproporzionata e fuori scala. Una riproduzione. Nessuno ha mai protestato per lo smontaggio o la distruzione di una scenografia, come sarà quella dello stesso Pistoletto per Re Lear interpretato da Preziosi al Teatro Romano di Verona. Ma qualcuno ha creduto che l'invenzione di Pistoletto fosse un'opera d'arte. Ci è riuscito, a farlo credere ma, intuitivamente, il sindaco di Napoli lo ha smentito. «La rifaremo», ha dichiarato. Sarebbe difficile dirlo se fosse bruciata una tela di Luca Giordano, in una città in cui molti capolavori nelle chiese, nonostante il grande impegno di Raffaello Causa e di Nicola Spinosa, sono in abbandono. Altro che Venere degli stracci! Opere molto più preziose. Come gli affreschi trecenteschi di Pietro Cavallini a Santa Maria Donnaregina che da anni attendono un restauro.

Pistoletto è un artista ingegnoso e rispettabile. Ma ripetitivo. Adesso sta imperversando con un'altra ideuzza: Il terzo paradiso. Sempre la stessa storia, con il sostegno ideologico di un manifesto. L'opera sono disegni sulla sabbia o serie di pietre o pietruzze per rappresentare il simbolo: due cerchi contigui uniti da un cerchio centrale più grande, riconfigurando il segno matematico dell'infinito. Anche quest'opera ha ormai vent'anni. Viene disseminata, con un'abile operazione di marketing, in molti Comuni che diventano ostaggio di pietruzze inamovibili. Consacrano uno spazio, e non si possono spostare neanche se in quell'area si dovesse costituire una scuola o un ospedale. La sacralità dell'idea di Pistoletto viene difesa da critici e intellettuali agguerriti in nome dell'arte contemporanea i quali, nel suo caso, ne rigettano l'immaterialità. Arte. Pistoletto è come Dulcamara nell'Elisir d'amore. Mentre, a smentire i difensori della sacralità dell'artista e della crociata contro i vandali, basta il «la rifaremo» del sindaco Gaetano Manfredi. Sarebbe ora di finirla. E intanto chiedere proprio a Manfredi: quanto è costata? Quanto costerà? E quanto si è pagato Pistoletto? Veramente 200mila euro? E perché prendersela con un clochard, uno straccione, invece di aiutarlo, metterlo in condizione di non appiccare fuochi non graditi? E quanti clochard (non ditemi che sono populista) si potrebbero riparare, proteggere con i danari che sono stati dati per montare a Napoli la riproduzione di un'opera che è già a Napoli, al Madre?

Non sarò certo io a dire che chi dà gioia ed entusiasmo, un'artista, un cantante, un attore non deve essere pagato. Ma perché pagare un artista per una riproduzione? E se Pistoletto fosse stato così generoso da non chiedere nulla, come è possibile (attendo la risposta di Manfredi) spendere danaro per riprodurre in modo deforme, e certamente senza l'estro dell'artista, un'opera che è a rischio di vandalismi? Al punto di far dire a qualche tecnico che gli stracci sono stati (falsamente) resi ignifughi, come per premonizione di quello che sarebbe accaduto. Dunque non è bruciato né un capolavoro né un'opera d'arte. Si è celebrato il rito del fuoco indesiderato, con un effetto analogo a quello formidabile del rosso nell'acqua della fontana di Trevi per cui ci si profuse in deprecazioni, indignazioni. Ma, dopo tre ore, tutto era tornato a posto, ed era stata un'idea originale (del fu-turista Graziano Cecchini), indimenticabile, un rito dell'acqua invece che del fuoco, che resta nella memoria come resterà il falò di Pistoletto. Nessuno, prima del fuoco, si era accorto della Venere degli stracci, né si poteva immaginare, nella sua natura effimera, che potesse essere innalzata fino ad opera d'arte. Nessuno ha detto che era la triste e goffa riproduzione di un'opera che è altrove. Accade ogni volta a teatro: distruggere una scenografia da un dipinto di Mantegna non è come distruggere l'originale. Le scenografie da Van Gogh, da Galileo Chini, da Mantegna che io, come Pistoletto della sua vera Venere, ho fatto realizzare, sono state distrutte senza rimpianto.

E accade anche in un museo di Casoria, il Cam, dove il direttore Antonio Manfredi ciclicamente brucia opere del museo per far sapere che esiste. Allora è difficile non pensare che i roghi del Cam siano effettivamente falò di vanità, quella del direttore e degli autori che, probabilmente in buona, anzi ottima fede, stanno celebrando quella sottile forma di snobismo che i Musei li svuota, anziché riempirli. E, nel caso di Pistoletto, vittima sacrificale, dunque: pagati i diritti, pagata la riparazione, pagato il rifacimento, quanti clochard resteranno per strada? E quale malinconia è vederli dormire, con i loro corpi unici e vivi, quelli sì, nella galleria Umberto, tra panni, cartoni e stracci! Il fuoco è il riscatto degli straccioni contro il potere cieco e autocelebrativo. Se il senso profondo dell'idea di Pistoletto è il contrasto fra la replica in polistirolo della solenne scultura di Thorvaldsen e gli stracci senza valore, comprenderla fino in fondo vorrebbe dire fare qualcosa per gli straccioni, per i disperati, per i senza casa, nel nome di Pistoletto e della sua Fondazione. Allora il suo monumento avrebbe senso. Così, anche rifatto, la sua inutilità è peggiore del fuoco.

Sorprende, in una improvvisa ripresa di coscienza, l'apoteosi del fuoco purificatore, non contro Pistoletto, di Pierluigi Pansa, sul trasgressivo Dagospia. Luminoso, senza fare sconti al vandalismo: «Uno straccione che distrugge la Venere degli stracci di un artista che ha dichiarato che viviamo in una società stracciona è qualcosa di sublime, più che una performance d'arte totale è la quintessenza della Nemesi, il distillato dell'Ananke, un puro disvelamento dell'Aletheia. Basta così? Per uno che ha vissuto spaccando specchi, cioè guadagnando spaccando qualcosa sino a dar vita a una auto-Fondazione gigantesca a Biella, non è il massimo vedere uno straccione che distrugge i suoi stracci messi in piazza? Non è una pistolata: uno straccione ha titolo sugli stracci.

Ogni volta che uno distrugge consapevolmente un'opera d'arte (non quei cretini che lo fanno senza sapere umiliando la Cultura, o quelli che pensano di salvare il Mondo distruggendo le opere o quelli che scrivono sul Colosseo e non pensavo fosse antico: tutti in galera) provo un fremito: l'Arte conta ancora qualcosa nella vita? Persino uno straccio sconvolge a tal punto la coscienza di uno straccione (straccione è qualcosa più grande di straccio) che finisce per dargli fuoco. La Venere brucia e l'arte diventa momento di Liberazione simbolica per i poveri. Straccioni di tutto il mondo per un momento avete sottratto l'Arte contemporanea ai despoti della finanza».

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