Scheiwiller, fuori moda per scelta

«È cominciato quasi per gioco, nel 1951, io liceale, aspirante giocatore di tennis; mio padre, stanco e sfiduciato della sua piccola casa editrice del sabato e della domenica, mi chiese se volevo continuare. Io: "Sì, papà". Il tennis perse un mediocre giocatore e l'editoria italiana si guadagnò il suo editore inutile».
Così, «quasi per gioco», iniziò l’avventura di Vanni Scheiwiller, che prima seguirà la linea impostata dal padre Giovanni, nel 1925, con le edizioni «All’Insegna del Pesce d’Oro»; poi ne traccerà una propria, con la sua «Libri Scheiwiller» (1977), casa editrice piccola ma raffinata, tra le più originali del nostro Novecento. Indipendenti, anticonformisti, amanti dell’oggetto-libro in quanto «bello», Giovanni e Vanni fecero della «inutilità» il segreto della loro immortalità. Editori artigiani, come amavano definirsi, sono stati gli eredi di quella grande tradizione tipografica italiana inaugurata nel Cinquecento con Aldo Manuzio, ma che oggi può contare su ben pochi rappresentanti: Scheiwiller era uno di quei pochi, e probabilmente il migliore. A dieci anni dalla morte di Vanni, una parte dell’Archivio Scheiwiller, acquisito nel 2005 dal Centro Apice dell’Università degli Studi di Milano, viene per la prima volta resa pubblica in un bellissimo volume in uscita per Skira: I due Scheiwiller - Editoria e cultura nella Milano del Novecento, a cura di Andrea Kerbaker, Alberto Artioli e Antonello Negri. Uno straordinario patrimonio scritto e iconografico (copertine, litografie, carte private, fotografie d’epoca, testimonianze di amici scrittori) che ripercorre la storia di una casa editrice centrale nella cultura milanese del XX secolo, nata dalla passione di un libraio di origine svizzere, Giovanni, e cresciuta con il figlio Vanni oltre i confini nazionali.
Una passione per i testi e la bella stampa che certo non si improvvisava: il padre di Giovanni, trasferito a Milano dal Cantone San Gallo, lavorò come tipografo del compatriota Ulrico Hoepli, nella stessa libreria presso la quale, qualche anno più tardi, sarebbe subentrato il figlio. Fu in questo humus culturale (senza contare le nozze con la figlia dello scultore Adolfo Wildt) che prese forma l’impresa editoriale di Giovanni, da cui nacquero le edizioni «All’insegna del Pesce d’Oro» (il nome prendeva spunto dalla trattoria toscana in via Pattari a Milano, ritrovo di artisti e intellettuali come Quasimodo, Sinisgalli, Fontana) che raccoglievano, in piccolo formato e tiratura limitata, testi rari o inediti, opere prime, litografie originali, artisti introdotti da scrittori (Solmi-De Pisis, Sarfatti-Funi, Soffici-Carrà) e poeti illustrati da artisti (Sinisgalli-Degas, Mallarmé-Matisse, Leopardi-Picasso). E se per Giovanni la letteratura era (ufficialmente) un «passatempo» che lo impegnava in testi raffinati, tipograficamente unici, ma inesorabilmente fuori commercio, per Vanni era un’occupazione a tempo pieno. Dal 1977, quando fondò la «Libri Scheiwiller», pubblicò tremila titoli suddivisi in oltre 40 collane: costruiva l’ossatura dei libri con dovizia quasi maniacale e attraversava l’Italia in treno con enormi pacchi di volumi da distribuire nelle librerie. In comune avevano il gusto per l’azzardo, la libertà delle scelte, gli innamoramenti per testi e autori sconosciuti. Per primi, in Italia, pubblicarono i Nobel, da Quasimodo a Montale, da Eliot a Seamus Heaney, rivelando un talento assoluto a scoprire autori che solo in seguito sarebbero diventati «grandi». «Erano nemici della retorica – racconta Kerbaker -. Così, in questo volume, abbiamo voluto far parlare “loro“, gli amici e i documenti. Siamo andati a cercare le cose più curiose che attestano la loro indipendenza di giudizio e di comportamento: Scheiwiller pubblicava Ezra Pound negli anni ‘50, quand’era in manicomio, e Nanni Balestrini mentre era indagato per terrorismo». Piccoli editori di piccolissimi libri, guardavano alla qualità del manufatto artistico e al valore letterario dell’opera, a prescindere dai gusti e dalle mode.

«I libri Scheiwiller – ricorda ancora Kerbaker - sono sempre stati maledettamente fuori moda: per questo vendevano poche copie. Ma a loro non interessava: volevano produrre delle opere che restassero nel tempo. Ed è quello che sono riusciti a fare».

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