Scia di morte coi fratelli di sangue

Scia di morte coi fratelli di sangue

Paolo Bertuccio

Sangue è quello, infetto, che scorre nelle vene di uno dei protagonisti di questa storia. Sangue è quello, figurato, che lega quest'uomo ed un altro in una specie di amicizia inquietante. Sangue è anche quello che i due uomini del nostro racconto fanno scorrere a Genova in una folle settimana d'inverno.
Francesco Sedda è nato nel 1958 a Nuoro, ma vive nel capoluogo ligure praticamente da sempre. Ci si è trasferito all'età di due anni, insieme alla numerosa famiglia. La sua è una carriera da delinquente come ce ne sono tante: una serie infinita di furti e rapine, a partire dall'età di diciotto anni. All'ennesimo processo in cui viene giudicato colpevole, la condanna non contempla la detenzione in carcere. Sedda, infatti, ha una personalità problematica, una perizia lo ritiene affetto da infermità psichica (cioè incapace di intendere e di volere) e psicorganica (cioè dipendente da sostanze stupefacenti). Oltre tutto questo, Sedda è anche sieropositivo. Il suo futuro da quel momento in avanti si svolgerà, o almeno dovrebbe, a Montelupo Fiorentino, in una cella del locale manicomio criminale. Sarà in quella cella che il destino di Francesco Sedda si intreccerà indissolubilmente con quello di una delle figure più inquietanti della storia recente della criminologia: Bartolomeo Gagliano.
La vita di Gagliano ha qualcosa in comune con quella di Sedda. Sono quasi coetanei, perché Gagliano è di un anno più giovane; anche lui è nato in un'isola, la Sicilia, ed è andato a vivere in Liguria da bambino, lui a Savona. Nella gioventù di Bartolomeo non c'è nessuna impresa criminale ricollegabile alla delinquenza comune. Bisogna cercare nella psicologia disturbata del soggetto la spiegazione dell'episodio che, nel gennaio 1981, gli apre le porte della galera. Gagliano, infatti, uccide barbaramente Paolina Fedi, una prostituta di 32 anni con la quale ha una relazione segreta, in seguito ad una discussione con la donna che minaccia di rivelare tutto alla fidanzata di Gagliano. È l'inizio di una carriera criminale tra le più assurde, scandita da continue fughe dal luogo di detenzione. Prima dall'ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa, poi da quello di Montelupo Fiorentino, da cui evade in compagnia del compagno di cella Francesco Sedda. Sono amici, oltre che compagni. Diventeranno «compagni di sangue» durante una folle settimana genovese.
All'inizio del 1989 ci sono due notizie di cronaca nera che passano pressoché inosservate. Una è dell'8 febbraio: un travestito ucciso in nottata con un colpo di pistola calibro 7,65 al volto e ritrovato nella boscaglia soprastante una piazzola dell'autostrada Milano-Genova, poco distante dal casello di Vignole Borbera. Si tratta di un uruguayano, Nahir Fernandez Rodriguez, 32 anni. Abita a Milano, dove si prostituisce abitualmente, ma il 6 febbraio, due giorni prima di essere assassinato, ha preso il treno per andare a Genova. Il biglietto, con il ritorno non ancora convalidato, lo ritrovano gli inquirenti al momento della scoperta del cadavere. L'altra notizia risale a quasi un mese prima, all'11 gennaio. Due detenuti dell'ospedale psichiatrico giudiziario di Montelupo Fiorentino sono riusciti a fuggire senza lasciare traccia. I loro nomi sono Bartolomeo Gagliano e Francesco Sedda.
Due fatti che sono due gocce nel mare della cronaca. Nessuno può pensare lontanamente di metterli in relazione tra loro. Purtroppo, però, accadrà qualcosa che costringerà l'autorità costituita a farlo.
San Valentino 1989. B. M., un operaio divorziato di 34 anni, esce di casa in tarda serata e si reca in corso Aurelio Saffi. La zona compresa tra Carignano e la Sopraelevata è frequentatissima da prostitute, viados e dai loro clienti. B.M. sta appunto cercando compagnia, e poco dopo si apparta all'interno della propria Lancia con Vanessa, o Francesca. Sono due, infatti, i soprannomi di Francesco Panizzi, transessuale trentaquattrenne con un passato di droga alle spalle, che abita nel centro storico, in vico Untoria. È di buonumore perché quella del 14 febbraio è la sua ultima notte di lavoro per qualche tempo: ha infatti deciso di partire il giorno dopo per La Spezia, dove trascorrerà un po' di tempo con la famiglia.
Tutto si svolge in meno di un minuto. Un uomo misterioso si avvicina all'auto parcheggiata vicino ad un'aiuola. È armato, e cerca di aprire la portiera, ma è il transessuale a scendere dalla macchina, pensando che si tratti di una semplice rapina. Francesco Panizzi non fa in tempo a consegnargli la borsa, perché l'uomo fa fuoco. B.M. è colpito solo di striscio, mentre per Panizzi non c'è nulla da fare: il proiettile calibro 7,65 lo colpisce alla faccia da distanza ravvicinatissima.
Non c'è il tempo materiale di collegare questo episodio a quello dell'autostrada, perché la sera successiva, intorno a mezzanotte, Circonvallazione a Mare si tinge ancora di sangue. Fortunatamente, stavolta la vittima è solo potenziale. Laura Baldi abita in vico Untoria, come il povero Francesco Panizzi. Anche lei si prostituisce. È una delle troppe ragazze cadute nella trappola dell'eroina all'inizio degli anni '80, prigioniera della droga e di pessime compagnie. La pallottola che le fracassa orrendamente la mascella per poi uscire trapassandole la gola è, manco a dirlo, un calibro 7,65. È partita dall'arma di un uomo alto circa un metro e settanta, coi capelli a ricci neri. Già, stavolta c'è un testimone: si tratta di uno studente universitario che, probabilmente, abita nelle vicinanze, ma a cui i giornali appioppano fin da subito il soprannome di «studente nottambulo». Le notizie di Laura Baldi, intanto, sono buone: nonostante una fortissima emorragia, la ragazza si è salvata, e presto potrà dare indicazioni su colui che ha sparato. Quel che viene fin da subito accertato è che il silenzio delle due notti precedenti è stato rotto dalla stessa arma, che è anche quella che ha freddato Nahir Fernandez.
L'inquietudine cresce: i giornali ricevono telefonate anonime di un sedicente «giustiziere» che dichiara di aver contratto l'Aids con una prostituta e di volersi vendicare uccidendo le ultime cinque con cui ha avuto rapporti («così sono sicuro di ammazzare quella giusta»). Le pistole tacciono da due giorni quando, in base alla testimonianza dello studente nottambulo, viene arrestato il presunto colpevole del duplice omicidio e del ferimento di Laura Baldi. Si tratta di un cuoco disoccupato, corrispondente all'identikit ed abitante in vico Untoria, come due delle vittime. Per lui i giorni di carcere saranno solo due, perché il 20 febbraio, finalmente, la verità viene a galla.
Puro caso. Un'Opel Corsa fermata per un controllo in via San Lorenzo. Ci vuol poco, per i poliziotti, ad accorgersi che l'uomo a bordo è ricercato per l'evasione dall'OPG di Montelupo Fiorentino: si tratta di Bartolomeo Gagliano. Soprattutto, in macchina ci sono due bossoli 7,65. La perizia, in breve tempo, confermerà che si tratta proprio di colpi partiti dalla maledetta pistola che ha terrorizzato l'ambiente della prostituzione genovese.
E il suo compagno di fuga? Nonostante i disperati ed improbabili tentativi di difesa di Gagliano, viene ben presto chiarito che l'esecutore materiale degli omicidi era proprio il ricercato siciliano, ma Sedda era sempre presente ed aveva parte nell'organizzazione dei delitti. Non è escluso che la voce dell'anonimo sieropositivo che minacciava di fare giustizia fosse quella del sardo, anche se sembra più l'opera di un mitomane. Braccato dalle forze dell'ordine, Francesco Sedda si costituisce una settimana dopo. La coppia si ricompone, nel senso che, incredibilmente, i «compagni di sangue» (diventerà il loro soprannome definitivo) vengono rinchiusi nuovamente nella stessa cella, stavolta a Reggio Emilia.

Le evasioni di Gagliano saranno ancora cinque, mentre Sedda fuggirà una volta sola, per rendersi protagonista di un altro fatto di cronaca in provincia di Genova: una rapina a Busalla nel 1991 dopo la quale sarà catturato e riportato all'Ospedale Psichiatrico Giudiziario, dove morirà nel 1994.

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