L'Enea lancia l'allarme sul clima nel Mediterraneo e sottolinea i rischi legati all'impatto del riscaldamento globale sul Grande Mare. Dal 1997 a oggi la temperatura alla superficie del Mediterraneo è aumentata, secondo uno studio Enea, di 0,5 gradi. I dati confermano il trend complessivo che uno studio della Soran University di Baghdad con sostegno di atenei britannici aveva costruito riportando un aumento medio di 1,5 gradi negli ultimi quarant'anni. Ora la temperatura media del Mediterraneo alla superficie (Sst) è superiore ai 15 gradi durante l'intero corso dell'anno.
Lo studio dell'Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l'energia e lo sviluppo economico sostenibile presentato nell'evento organizzato per celebrare i venticinque anni dell'osservatorio climatico di Lampedusa parla di riscaldamento, inquinamento e rischi ambientali. L'anidride carbonica, dal 1997 a oggi, è cresciuto da circa 365 a circa 420 parti per milione (+15%) nell'atmosfera dell'area mediterranea, mentre il metano è cresciuto da circa 1825 a 1985 parti per miliardo (+9%).
Con il cambiamento climatico che porta a inverni più caldi nell'Adriatico settentrionale e nell'Egeo settentrionale, nota il Middle East Institute, stanno cambiando anche i livelli di salinità: "Cambiamenti significativi nella circolazione sono destinati a influenzare questi componenti chiave dell'ambiente marino. Oltre a stravolgere gli ecosistemi marini nel Mediterraneo orientale in modi non ancora quantificati, ci sarebbe senza dubbio anche un impatto economico, avvertito in modo più acuto dai pescatori su piccola scala, che rappresentano la maggior parte delle operazioni di pesca della regione".
Geologicamente gli studi effettuati hanno sempre dimostrato che a causa del suo quasi isolamento dallo stretto di Gibilterra e del suo alto tasso di evaporazione l'alta salinità del Mediterraneo può autoalimentarsi e contribuire all'inaridimento del Grande Mare. E senza sottovalutare i cambiamenti odierni, bisogna ricordare che abbiamo a che fare con l'area europea più esposta al cambiamento climatico: addirittura, tra 5,96 e 5,33 milioni di anni fa il Mediterraneo si prosciugò completamente per l'aumento delle temperature, il crollo delle precipitazioni e l'evaporazione, a cui la chiusura del ponte con l'Oceano Atlantico aggiunse l'elemento decisivo. E ci furono anche prima della colonizzazione umana fasi in cui si assistette a picchi di temperatura tutt'altro che...mediterranei. Alfred Thomas Grove e Oliver Rackham, due importanti geografi e climatologi britannici, nel 2003 pubblicarono lo studio The Nature of Mediterranean Europe in cui ricordarono le linee guida di condotta che anche oggi, di fronte ai dati Enea, è consigliabile: sì all'attenzione per il cambiamento climatico, sì alla ricerca di soluzioni ambientali ottimali per conservare la natura, no alla fustigazione di pensare che sia solo l'aumento delle emissioni la causa del riscaldamento del Mediterraneo che, secondo l'Enea, può portare a fenomeni climatici estremi.
Grove e Rackhman nella loro ricerca hanno operato un'attenta disamina della storia climatica del Mediterraneo, ricordando che nella regione "l'attività umana non è stata quindi la causa del cambiamento climatico, ma lo ha seguito". Dalla serie di "piccole ere glaciali" susseguitisi all'alternanza delle civiltà nella regione del Sahara, un tempo fertile anche nelle sue propaggini libiche e egiziane, passando per crisi climatiche come quella del XII secolo a.C. che portò il Mediterraneo in una vera e propria età del caos molte volte il clima ha condizionato l'agire umano.
Dunque i dati dell'Enea devono sicuramente destare preoccupazione ma invitare anche a leggere tra le righe della corrispondenza tra aumento dell'inquinamento, aumento della temperatura e crescita dell'instabilità regionale sul clima. Non necessariamente una proporzione uno a uno: e proprio questo dovrà studiare, con attenzione, la scienza di domani.
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