Hubble non è ancora morto. Non Edwin Hubble, l’astronomo da cui ha preso il nome, e che agli inizi del secolo scorso scoprì che l’universo si sta espandendo (lasciando di stucco Albert Einstein, perché dalla relatività risultava proprio un universo in espansione, ma poiché si riteneva statico dovette inserire una correzione, «il più grande errore della mia vita», cioè non fidarsi dei suoi calcoli). Piuttosto il telescopio spaziale Hubble, che si affianca al nuovo James Webb Telescope, e che ci ha permesso di vedere le prime galassie, a tredici miliardi di anni luce di distanza.
Insomma, Hubble ha dissipato la nebbia intorno a un oggetto che si sta studiando da sessant’anni, il quasar 3C 273. I quasar sembrano quasi stelle ma non lo sono, sono nuclei galattici che emettono potenti onde radio, estremamente luminosi a causa di polveri e gas che cadono dentro un buco nero supermassiccio (ogni galassia ne ha al centro uno). Ma 3C 273, distante 2,3 miliardi di anni luce, rientrava in una banda ottica centinaia di volte più brillante delle galassie prima osservate, per cui era visibile solo una potentissima luce.
Ebbene, qui Hubble ha permesso un passo avanti per vedere le strutture intorno a 3C 273, con l’utilizzo del coronografo Stis di cui dispone il telescopio spaziale. Cos’è un coronografo? In parole semplici è uno spettrografo (che analizza diversi spettri della luce a seconda della frequenza) utilizzato come uno coronografo, cioè per bloccare la luce di un oggetto osservato, e se ciò che si è visto sono molte piccole galassie satelliti che stanno precipitando in un buco nero alimentando il quasar, da qui il suo sorprendente bagliore. Ora tocca al James Webb Telescope approfondire.
È sorprendente ciò che i telescopi spaziali di nuova generazione stanno portando alla conoscenza dell’universo, e a oggetti spaziali su cui ci si arrovella da anni.
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