Roma - Berlusconi lancia l'operazione autosufficienza sebbene Bossi, con cui ha avuto ieri un lungo colloquio, continui a premere: «Silvio, non ti puoi fidare di Casini. Anche lui vuole soltanto farti fuori. Meglio il voto, credimi». Il Cavaliere ascolta ma è intenzionato a provare nell'operazione recupero. C'è più o meno un mese e mezzo di tempo.
I punti di forza del premier sono due. Primo: sa che il pallino l'ha in mano lui e che Fini è in un vicolo cieco, costretto soltanto a sperare che Casini non lo molli. Secondo: tutti i suoi avversari temono le elezioni mentre gli ultimi sondaggi sembrano premiare il tandem Pdl-Lega. Certo, le urne restano un azzardo soprattutto per l'esito meno scontato per il Senato, ma è una carta da giocare specie dopo aver disinnescato la mina di un governo tecnico. Ora però la partita torna a giocarsi sui numeri perché nessuno nella maggioranza ha l'intenzione di «fare come Prodi». Restare appesi a tre voti in più significa non riuscire a governare e farsi cuocere a fuoco lento. Ma il Cavaliere non ha intenzione di farsi logorare né di concedere troppo tempo alle opposizioni di riorganizzarsi.
Ecco perché la mission è quella di cercare l'autonomia assoluta a Montecitorio con almeno dieci/quindici deputati in più rispetto al quorum di 316. Restano top secret i nomi dei parlamentari attenzionati, ma da ambienti pidiellini si mormora che starebbero per arrivare forze nuove. Pare siano otto i deputati pronti a puntellare la maggioranza: tre Mpa, tre Fli e due del Pd. Numeri importanti ma non sufficienti per garantire il quieto vivere fino alla fine della legislatura: ne servirebbero altri 7 o 8 per la tranquillità assoluta. È ovvio che i più corteggiati siano i finiani, nella consapevolezza che molti manifestano ben più di un mal di pancia per la strategia suicida di Gianfranco. Si sa che un manipolo di futuristi ha seguito il presidente della Camera più per un debito personale che non per convinzione piena al suo progetto. Ed è a questi che il Pdl si rivolge, nella speranza che in loro prevalga il seguente ragionamento: «Abbiamo appoggiato Gianfranco con lealtà fino a dove abbiamo potuto ma ora c'è in ballo la nostra sopravvivenza politica».
In più c'è il cosiddetto fattore-Bocchino: il generalissimo la cui sovraesposizione da sempre infastidisce i finiani più dialoganti e potrebbe essere determinante per ulteriori defezioni.
I nomi dei futur-traballanti sono noti anche se i diretti interessati smentiscono ipotesi di pentimento. Si tratta di Andrea Ronchi, Giuseppe Consolo, Giulia Cosenza, Carmine Patarino, Nino Lo Presti, Luca Bellotti, Pippo Scalia e persino Donato Lamorte (quest'ultimo soffre di una vera e propria idiosincrasia nei confronti della coppia Bocchino-Moroni). Insomma, negli ambienti finiani c'è chi pensa a una scialuppa di salvataggio posto che il Fli naviga in pessime acque e i sondaggi parlano di consensi precipitati al 3/4 per cento.
Certo, se dal Terzo polo arrivassero rassicurazioni sul lodo, anche le pressioni sui finiani subirebbero un rallentamento così come l'offensiva per chiedere le dimissioni del presidente della Camera. La strategia del «figliol prodigo» sui finiani, tuttavia, prosegue e non esclude il pressing su Casini, sebbene Bossi freni e preferisca il voto.
Nella trattativa coi centristi ci sarebbe finito Bondi.
L'accordo è questo: Casini si impegna a non impallinare il ministro, finito nel mirino della mozione di sfiducia; in cambio avrebbe il via libera anche in Senato al seggio Ue per il fedelissimo casiniano Gino Trematerra. Trattative in corso che metterebbero un freno anche alle fibrillazioni in casa Udc, visto che Casini rischia altre defezioni.
L'emorragia non sarebbe infatti terminata con l'uscita nel settembre scorso di Romano, Mannino, Pisacane, Drago e Ruvolo. Anche in questo caso è presto per fare nomi ma oltre alla cattolicissima Binetti, si mormora anche di Ferdinando Adornato.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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