Giancristiano Desiderio pubblica in un cofanetto tre volumi sulla Vita intellettuale e affettiva di Benedetto Croce (Aras edizioni), uno strumento indispensabile per chi voglia studiare il grande pensatore italiano. Una caratteristica assai originale del lavoro di Desiderio è quella di indagare la vita intellettuale di Croce tenendo sempre presente la sua vita affettiva: ne esce un quadro di grandissimo interesse, che racconta il percorso di fede e di passione del filosofo, «e mostra come in lui vita e pensiero furono, alla maniera dei filosofi antichi, vita filosofica».
Mi soffermo sul capitolo intitolato «Giovanni», in cui viene ricostruito con grande finezza il lungo rapporto di amicizia-inimicizia fra Croce e Gentile. La loro amicizia rappresenta nella storia della cultura italiana un caso più unico che raro. «Si capirono solo fraintendendosi - scrive Desiderio - ma la loro amicizia fu vera e la loro collaborazione giovò alla formazione dei loro pensieri e sistemi filosofici - l'attualismo e lo storicismo - che sarebbero stati diversi se le loro strade non si fossero incontrate». La loro amicizia e la loro collaborazione influirono su intere generazioni di intellettuali e di politici; riguardarono la politica e lo Stato italiano, perché ciò che fecero o provarono a fare fu dare al giovanissimo Stato italiano una cultura. «Dunque - scrive acutamente Desiderio -, da loro dipese la formazione della nuova Italia; ecco perché, quando l'amicizia finì e subentrò la rottura, fu qualcosa di più della fine di un sentimento: fu uno scandalo e un dramma nazionale».
L'amicizia e la collaborazione durarono per circa trent'anni, e Gentile ebbe un ruolo di grande importanza nella compilazione della rivista bimestrale La Critica, che Croce fondò nel 1903. I due filosofi si divisero i compiti: Croce lavorò sulla storia e sulla letteratura, Gentile si occupò della storia della filosofia. Il programma della Critica fu antipositivista. E siccome la filosofia non può essere se non idealismo - scriveva il pensatore napoletano - bisognava essere seguaci dell'idealismo, ma di un idealismo nuovo che poteva definirsi idealismo critico o realismo idealistico o idealismo antimetafisico. Quanta importanza avesse per Croce la collaborazione con Gentile, si evince da una postilla che il primo scrisse per Logica come scienza del concetto puro. Qui Croce affermava di aver vinto, nel suo pensiero, vari pregiudizi «e a vincerli mi hanno aiutato grandemente (...) gli studi del mio carissimo amico Giovanni Gentile (al quale assai altri aiuti e stimoli deve la mia vita mentale) intorno alla relazione tra filosofia e storia della filosofia».
E tuttavia la piena concordia fra i due filosofi era solo apparente. Basti pensare al diverso giudizio che essi davano su Marx. Infatti, Croce non vedeva nel marxismo una filosofia della storia; in Marx, più che un filosofo vedeva un politico - «il Machiavelli del proletariato» lo definirà - e, pur dando grande importanza all'opera di Marx e di Engels per la comprensione del mondo moderno, ridusse il marxismo a canone storiografico, oltre a farne una critica sul piano economico che lo condurrà sulle posizioni liberali della Scuola austriaca. L'interpretazione che Gentile dava di Marx era assai diversa: Marx non era un politico, ma un filosofo e il suo pensiero tradiva tutta la sua origine hegeliana, alla quale bisognava risalire se si voleva creare una filosofia della prassi coerente. Ma con un avvertimento fondamentale: Marx era caduto in un grossolano errore quando aveva preteso di rinchiudere la dialettica (di origine hegeliana) all'intero del materialismo.
Ma il dissidio fra i due filosofi si manifestò sempre più chiaramente man mano che Gentile veniva elaborando il suo «idealismo attuale». Nel 1913 Croce scrisse per La voce di Prezzolini il famoso articolo «Intorno all'idealismo attuale». La critica che Croce muoveva a Gentile era quella di misticismo. L'idealismo attuale, diceva Croce, era «una schietta posizione mistica», in cui tutto è ridotto all'atto che cancella in sé ogni forma di distinzione e «deprime», rendendoli vani e illusori, l'errore e il male. Croce, dice giustamente Desiderio, vedeva nella teoria dell'idealismo attuale il pericolo che ogni fatto fosse giustificato in nome dell'atto, e così vi ravvisava il rischio dell'indifferentismo e dell'indebolimento della coscienza morale.
I rapporti fra Croce e Gentile continuarono ancora per dieci anni, e così anche la reciproca collaborazione, ma qualcosa si era indubbiamente incrinato, e le loro strade incominciarono a dividersi. La rottura si verificò in modo irrimediabile con l'avvento del fascismo: al quale Gentile diede una piena adesione, mentre Croce, quando Mussolini instaurò la dittatura, passò all'opposizione. Nel 1928, nella sua Storia d'Italia dal 1871 al 1915, Croce diede su Gentile un giudizio aspro e sferzante: l'attualismo gentiliano era «un complesso equivoco di generalità e un non limpido consigliere pratico».
L'amicizia fra i due filosofi finiva così, drammaticamente. Ma Croce sapeva bene quanta importanza aveva avuto per lui quell'amicizia.
E quando apprese che Gentile era stato assassinato, scrisse nel suo diario: «Non si sa nulla degli autori e delle circostanze della sua morte; ma la radio di Londra, che l'ha definita giustizia e ha aggiunto severi commenti sull'uomo, ha fatto scoppiare in pianto Adelina che l'ascoltava e che ricordava lui, nei primi tempi del nostro matrimonio, bonario uomo ed amico, da noi accolto a festa quando veniva a Napoli nostro ospite». Erano, come si vede, parole commosse.
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