Charles Dickens, «il più popolare scrittore d'Inghilterra», morì poco prima dell'estate del 1870, a 58 anni. Al suo funerale, risolto «quasi in segretezza», parteciparono in quattordici più un convitato inatteso, «l'amante invisibile» (si legga la recente biografia Charles Dickens. Una vita, scritta con brio da Mario A. Iannaccone, Edizioni Ares, pagg. 360, euro 22). Un cartiglio distribuito per le vie di Londra ricordava che lo scrittore «aveva a cuore i poveri, i sofferenti, gli oppressi». Tutto vero, per carità. Come è vero che Dickens un genio nell'ordire trame narrative labirintiche e nel mescere ironia nera e pathos, comico e tragico, obviously fece tutto, o quasi, per denaro. Figlio di un padre finito in prigione per debiti, costretto a lavorare, piccino, in una fabbrica di lucido per scarpe, Charles era ossessionato dalla miseria e dunque dal dio denaro: non gli interessava scrivere per raggiungere una speciosa sorta di riscatto sociale; aveva fame di soldi. Alternava un'esuberante prodigalità alla più cupa avarizia. Così, la prima edizione di A Christmas Carol pubblica il 19 dicembre del 1843 , la favola per i puri di cuore e i poveri del mondo, fu un affare per ricchi. Reduce dal quasi disastro di Martin Chuzzlewit, Dickens preferì rilanciare alla grande: ai suoi editori, Chapman&Hall, impose un'edizione illustrata dal talentuoso caricaturista John Leech, su carta importante con copertina di pregio. Il libro costava l'equivalente odierno di trenta euro: «vendette 6.000 copie in pochi giorni entro la Vigilia e poi molte migliaia di altre copie nelle successive sette edizioni sino a maggio 1844» (Iannaccone). Dickens, tuttavia, a differenza dell'allampanato, torvo, scaltrito Ebenezer Scrooge, fece male i conti: l'edizione, troppo costosa, gli consentì magri ricavi. Tra l'altro, fu implicato in una violenta vicenda legale. Alcuni stampatori corsari avevano messo in commercio una versione del Canto di Natale a prezzo stracciato, senza consultare l'autore. Fecero cassa, per poi dichiarare bancarotta: Dickens, fregato e mazziato, fu obbligato a pagare le spese giudiziarie.
Detto questo, non resta che stendere un mirabolante elogio di Ebenezer Scrooge. Nome che tradisce ascendenze ebraiche «Eben-Ezer» significa «fin qui ci ha soccorso il Signore»: è la pietra consacrata dal profeta Samuele per onorare la vittoria contro i Filistei: 1 Sam 7, 12 , cognome che fonde il ghigno al ruggito, Ebenezer è un autentico sapiente catapultato nella puritana, moralista, perbenista Inghilterra. Oh, Ebenezer Scrooge, Don Chisciotte capovolto, anarcoide, illiberale, scorretto in tutto, che tu sia benedetto! Gli aforismi sprezzanti di Ebenezer, «aspro e tagliente come una pietra focaia, dalla quale nessun acciaio al mondo aveva mai fatto schizzare una generosa scintilla; chiuso, sigillato, solitario come un'ostrica» (cito l'antica, e bella, traduzione d'autore di Federigo Verdinois; tra le moltissime, preferite quella di Sergio Claudio Perroni, costantemente ristampata da Bompiani; Neri Pozza ne ha appena mandata in libreria una di Massimo Ortelio), sapiente costretto «a vivere in un mondaccio di matti com'è questo», che propone la scappatoia del suicidio per poveracci e fannulloni, così «scemerebbe di tanto il soverchio della popolazione», pare ricalcare le aspre sentenze di Qohelet, il più crudo tra i rotoli della Bibbia. Eccone un florilegio minimo: «Tocca allo stolto la stessa sorte del sapiente, a che pro, dunque, farsi sapiente?»; «Presi in odio la vita, perché tutto è male sotto il sole, tutto è vano, agire senza senso»; «Odio la fatica perché gli averi vanno a chi mi succede... un uomo lascia ciò che ha guadagnato a un altro, sconosciuto, che la sua fatica non ha condiviso: anche questo è vanità, enorme male». Il mondo è ingiusto, dice Qohelet, l'uomo muore come un cane: non c'è male peggiore che vedere i propri possedimenti consumati dagli invasori, dagli sconosciuti. Epurata da un edonismo provocatorio, che sbava tenebre «Non c'è altro bene per l'uomo che bere e mangiare, godere di ciò che ha» , è questa la stessa coriacea sapienza propalata da Ebenezer, giudicato malvagio dai cretini, portatore, invero, di una morale ineccepibile, glorificata dalla crudeltà.
Avaro, teorico del calcolo, spregiatore degli ipocriti benefattori, Ebenezer paga le tasse per finanziare gli unici istituti statali utili la prigione e gli ospizi ; fa utili per tenerseli per sé. Non è un evasore, ma un eversivo: accumula denaro per il gusto, quasi che i soldi fossero un attributo divino o una cloaca massima; è, in fondo, un esteta del bel gesto, uomo votato alla purezza di una singola ossessione. È un santo, analogo, per opposizione, a San Francesco che ordinava ai fraticelli di non avere alcun rapporto con il denaro. Accumulare soldi o non averne è, in effetti, lo stesso: importa che il denaro non serva a oliare il meccanismo, becero, del capitalismo di massa. Impilando denaro, Ebenezer, in realtà, ne fa falò: è un Joker più audace, che trattiene gli eccessi nel nitore di un'impeccabile sovversione. Ebenezer è un problema per la società dei consumi: non acquista, non accede ai lussi, non è dominato dal senso di colpa dei frustrati, che danno ai poveri per ingrassare lieti. Indossa il saio dei savi: per questo gli fanno visita gli spiriti del Natale cioè, i demoni del consumo natalizio, tribunizio : Ebenezer, con la sua illecita sprezzatura, rischia di mandare a pezzi una civiltà.
Un anno prima di pubblicare A Christmas Carol, Dickens si impegnò in un lungo tour negli Stati Uniti. Tra gli altri, incontrò Washington Irving e Edgar Allan Poe, con cui si trattenne in lunghe conversazioni. Genericamente, il viaggio fu un successo. Alcuni giornalisti stigmatizzarono «l'atroce esagerazione dei personaggi cattivi» nei romanzi di Dickens.
Fu Walt Whitman, poco più che ventenne, appena assunto sul The New York Aurora, a difendere Boz; sul giornale del 15 febbraio 1842 scrisse: «Dickens sa, come la maggior parte di noi, che nel mondo ci sono molti uomini malvagi creature i cui cuori sono case orrende infestate da mostri, la cui presenza è un contagio letale. Ed è necessario mostrare queste creature nella loro cruda deformità». Lo scrittore pianta un albero di Natale nel cuore oscuro dell'uomo, pasce le tenebre. La festa è per gli altri. Sia lode a Scrooge.
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