«Scrivo per non ammazzarmi»

Si chiama Fante, ma non si chiama John. È l’altro Fante quello junior. Quello cresciuto con un padre geniale nella scrittura ma a lungo relegato nel sottoscala della cultura americana. Quello che dalla famiglia Fante ha ereditato una smodata passione per l’alcol, la depressione e la capacità di raccontare com’è l’America quando ti prende a cazzotti. Un signore un po’ luciferino e capace di cambiare continuamente pelle: da guru da salotto losangelino a scaricatore di porto che mastica lo slang da bassifondi, passando per la noncuranza del pacioso borghese del sobborgo bene, quello che se ne frega di tutto cucinando hot dog con indosso una camicia a quadri. Perché se John Fante era quasi inscindibile dal suo Arturo Bandini, e Chiedi alla polvere è stato il ritratto più duro della depressione e della condizione degli immigrati, l’altro Fante, Dan, è inscindibile dal suo Bruno Dante che in libri come Angeli a pezzi e nell’appena tradotto Buttarsi (entrambi sono editi da Marcos y Marcos e Dan sarà in Italia per presentare il secondo dal 4 al 13 giugno) accompagna il lettore per nuove crisi, molto più post moderne (anche se l’espressione che utilizzerebbe Fante junior è accompagnare il lettore per «una fottuta pioggia cosmica di merda». Infatti se la vena dei Fante è simile (lo intuì Fernanda Pivano: «I suoi romanzi sono ballate di amore e morte come lo erano quelli del padre») non lo sono più i tempi. E così, se la vita degli immigrati e dei loro figli era un inferno di povertà e quella degli aspiranti scrittori un ininterrotto ticchettio di infelicità, adesso è tutto farsesco. Il nuovo Fante/Dante lo sa e ci gioca. Perché non si chiede più alla polvere si chiede alle mail «che rovinano istantaneamente la vita alla gente... - con un rifiuto editoriale, ndr - senza nemmeno la cortesia di un cazzo di francobollo».
Signor Fante mi racconti di lei. Qual è il suo background?
«Sono un ubriacone. Mi cago nei calzoni in pubblico e insulto la gente. Al di là di questi dettagli sono una persona fantastica».
Lei ha avuto per lungo tempo problemi con l’alcol e questo ha influenzato la sua scrittura e la sua poesia. Cos’è davvero l’alcolismo?
«È la dipendenza dall’alcol ovviamente. Non lo sa? Ma io sono fortunato. Sono dipendente anche dalle macchine sportive e dalle donne con le tette grossissime».
Mr. Fante mi racconti un po’ della sua storia editoriale. Lei ha scritto i libri sul suo alter ego Bruno Dante prima di trovare chi glieli pubblicasse o si è cercato come prima cosa un editore?
«No Angeli a pezzi è stato scritto senza che ci fosse alcun editore. Ho mandato il manoscritto in giro per almeno una cinquantina di volte. Nessuno in America voleva nemmeno toccarlo. Allora a Parigi un mio amico lo ha mandato ad un editore. Questo è stato l’inizio. Ma ho guadagnato poco o nulla sino a che l’intera trilogia non è stata pubblicata da un editore scozzese, Canongate. Da allora sono diventato un grasso americano - non un americano grasso e ricco, solo un americano grasso, uno che può permettersi di essere grasso».
C’è una linea che nonostante tutto separa Bruno Dante, il suo alter ego letterario, da Dan Fante?
«Sì, i libri sono invenzioni basate sulla mia esperienza. Molte delle cose descritte mi sono davvero accadute, ma l’ordine in cui accadono nel romanzo è molto diverso da quello in cui sono accadute nella realtà».
Essere il figlio di uno scrittore diventato universalmente famoso l’ha aiutata come scrittore o le ha creato danno?
«Tutte e due le cose. Il figlio di un grande scrittore ha più facilità a pubblicare un libro. Se ne pubblica dieci allora vuol dire che ha un talento suo. Capito l’antifona?».
In «Angeli a pezzi» il protagonista ha una relazione molto tempestosa con il padre e uno si chiede quanto la faccenda sia fittizia oppure no... Anche in questo caso quanto c’entra John Fante?
«Io veneravo mio padre ma non ingranavamo affatto l’uno con l’altro, non come persone. Quello che ho avuto da mio padre, che mi ha davvero aiutato, è stata la semplicità. Mi ha aiutato a scrivere... Lui metteva nei suoi romanzi esattamente quello che diceva ed era veramente di facile lettura. Ecco perché era un genio...».
Questo su di lei ha avuto un’influenza forte, i vostri stili per certi versi sono simili. Se suo padre fosse nato dopo sareste intercambiabili?
«Mio padre ha avuto una grossissima influenza. Però mio padre era quello che si definisce uno scrittore moderno. Io invece sono decisamente post-moderno. Non raccontiamo nei nostri libri le stesse cose. Nessuno sa cosa avrebbe scritto oggi mio padre...».
Quando ha iniziato davvero ad interessarsi alla letteratura?
«Un giorno stavo cercando il modo di ammazzarmi. Poi decisi invece di provare a mettermi a scrivere perché era l’unico modo di mettere un argine ai miei pensieri».


Ora come ora sta scrivendo qualcosa di nuovo?
«Sto scrivendo un nuovo romanzo: è una detective story. Sono assolutamente sicuro che si tratti del più brillante artefatto della letteratura in lingua inglese. Beh, il secondo più brillante artefatto. Mi resta il dubbio che la Bibbia possa essere un libro migliore».

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