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La scuola libera in Italia è libera solo di fallire. E non per il virus

Il Covid farà esplodere l'inesistente "rivalità" tra istituti paritari e statali. La politica? Dorme

La scuola libera in Italia è libera solo di fallire. E non per il virus

È del 14 marzo 1984 la Risoluzione «sulla libertà di insegnamento nella Comunità europea». Con essa il Parlamento europeo ha inteso rendere chiaro che «il diritto alla libertà di insegnamento implica per sua natura l'obbligo per gli Stati membri di rendere possibile l'esercizio di tale diritto anche sotto il profilo finanziario e di accordare alle scuole le sovvenzioni pubbliche necessarie allo svolgimento dei loro compiti e all'adeguamento dei loro obblighi, in condizioni uguali a quelle di cui beneficiano gli istituti pubblici corrispondenti senza discriminazione nei confronti degli organizzatori, dei genitori, degli alunni e del personale». Successivamente, il 4 ottobre 2012, una ulteriore Risoluzione del Parlamento europeo stabilisce: «1. L'Assemblea parlamentare richiama che il godimento effettivo del diritto all'educazione è una condizione preliminare necessaria affinché ogni persona possa realizzare ed assumere il suo ruolo all'interno della società. Per garantire il diritto fondamentale all'educazione, l'intero sistema educativo deve assicurare l'eguaglianza delle opportunità ed offrire un'educazione di qualità a tutti gli allievi, con la dovuta attenzione non solo di trasmettere il sapere necessario all'inserimento professionale e nella società, ma anche i valori che favoriscono la difesa e la promozione dei diritti fondamentali, la cittadinanza democratica e la coesione sociale. A questo riguardo le autorità pubbliche (lo Stato, le Regioni, e gli Enti locali) hanno un ruolo fondamentale e insostituibile che garantiscono in modo particolare attraverso le reti scolastiche che gestiscono. 2. È a partire dal diritto all'educazione così inteso che bisogna comprendere il diritto alla libertà di scelta educativa».

Ebbene, nei Paesi post-comunisti entrati nell'Unione Europea come nel caso di Slovenia, di Slovacchia, Repubblica Ceka, Polonia la parità tra scuole statali e scuole non statali è stata introdotta in modo pieno. Questa, per la scuola non statale, la situazione nei Paesi della Vecchia Europa: in Belgio gli stipendi di tutto il personale sono a carico dello Stato; in Spagna sono a carico dello Stato tutte le spese; in Portogallo è erogato dallo Stato l'equivalente del costo medio di un alunno di scuola statale; in Lussemburgo sono a carico dello Stato tutte le spese; in Inghilterra nelle maintained schools sono a carico dello Stato tutti gli stipendi e le spese di funzionamento, oltre all'85% delle spese di costruzione; in Irlanda le spese di costruzione degli immobili sono a carico dello Stato, in misura completa per le scuole dell'obbligo e dell'88% per le scuole superiori; in Germania sono a carico dello Stato e delle Regioni (Länder) lo stipendio dei docenti (85%), gli oneri previdenziali (90%), le spese di funzionamento (10%) e la manutenzione degli immobili (100%); in Francia sono possibili quattro alternative: a) integrazione amministrativa, con tutte le spese a carico dello Stato; b) contratto di assunzione, con spese di funzionamento e per i docenti a carico dello Stato, a condizione che i docenti abbiano gli stessi titoli dei colleghi statali; c) contratto semplice, con spese per il solo personale docente a carico dello Stato; d) contratto di massima libertà che non prevede alcun contributo.

Dove il diritto alla parità tra Scuola statale e Scuola non statale è stato e viene tradito è in Grecia e in Italia. Qualche dato sulla situazione italiana. Nel 2012-2013 il totale degli studenti iscritti era di 8.943.701, di cui 7.763.964 iscritti alla Scuola statale e 1.036.403 iscritti alla Scuola paritaria. Nell'anno 2013-2014 gli studenti frequentanti la Scuola in Italia ammontavano a 8.882.905, con 7.746.270 iscritti alla Scuola statale e con 993.544 iscritti alla Scuola paritaria (di questi iscritti alla scuola paritaria 667.487 sono alunni delle Scuole cattoliche). Nei due anni scolastici 2012-2013 e 2013-2014 la spesa per ogni allievo della Scuola statale è stata rispettivamente di 6.411,16 e di 6.414,57; mentre il contributo medio dello Stato per ogni alunno della Scuola paritaria è stato rispettivamente di 481,47 e di 497,21: una autentica elemosina. E nel frattempo, in questi anni di crisi economica, molte famiglie, non potendo permettersi di pagare la retta, sono state costrette a ritirare il proprio figlio dalla Scuola paritaria e iscriverlo alla Scuola statale, con la conseguente chiusura di Scuole non statali, anche di grande prestigio. Tra il 2012-2013 e il 2014-2015 si sono perse 349 scuole e 75.146 alunni delle Scuole paritarie e 423 scuole e 48.066 alunni delle Scuole cattoliche.

In Italia la scuola libera è solo libera di morire e molte sono le sedi anche prestigiose rese ai nostri giorni e nei prossimi mesi economicamente agonizzanti dall'aggressione del maledetto Corona Virus. E vale la pena qui sottolineare che, mentre non ci sono manifestazioni sindacali, occupazioni di scuole o convegni sulla scuola in cui non si lanciano slogan contro la Scuola paritaria che succhierebbe risorse a scapito delle scuole statali, non ci si rende conto che le rette pagate dalle famiglie che iscrivono i loro figli alla Scuola paritaria fanno risparmiare allo Stato circa sei miliardi di euro ogni anno.

E, dunque, è la Scuola paritaria a danneggiare la Scuola statale, oppure è una politica cieca e irresponsabile di destra e di sinistra intossicata di statalismo a danneggiare sia la Scuola statale sia quella non statale? Può essere considerato «laico» cioè libero, non dogmatico un sostenitore dello statalismo nella gestione del sistema formativo? Non è forse vero, per parafrasare Julien Green, che il laicismo statalista ha i suoi bigotti proprio come l'ortodossia?

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