Dispiegano un congegno quasi cinematografico, le pagine con cui si apre Scuola di solitudine di Crocifisso Dentello (La nave di Teseo, pagg. 154, 18 euro). Lo scrittore, reduce da una faticosa presentazione dell'ultimo romanzo, vorrebbe rientrare nella sua camera d'albergo, ma non può farlo perché nella hall, ad attenderlo, c'è un relitto del passato. Altro che andare a dormire: bisogna mettere in conto un passaggio al bar e mezz'ora di chiacchiere.
Ad aver pianificato l'agguato è stato un vecchio compagno di scuola, Walter. Era un amico sincero? Per stabilirlo, proprio come accade nei romanzi di Bassani, bisogna percorrere un accidentato flashback. Tornare agli anni Ottanta ed entrare in una scuola media della Brianza, e lì immaginare il trattamento riservato a un alunno goffo, grasso, universalmente bullizzato. Anche a casa la situazione è difficile: se la madre cerca di impedirne il disfacimento psicologico, il padre muratore conosce solo il gergo della violenza e del rifiuto. In un simile quadro, che definire atroce sarebbe un eufemismo, Walter aveva rappresentato la luce in fondo al tunnel della degradazione.
Romanzo che testimonia la sagacia e la solidità del Dentello narratore, Scuola di solitudine è la storia di una restituzione; non sarebbe un errore, tuttavia, evocare Dostoevskij e il dolore irredimibile dei bambini. Perché, a differenza degli scrittori che sbandierano il valore corroborante della letteratura, Dentello mette nero su bianco una tesi gloriosamente paradossale: la letteratura consegue a una mancata elaborazione del lutto e ha una funzione consapevolmente cronicizzante, si tratti della perdita della madre o dei traumi subiti negli anni della scuola media. Gli sconfitti hanno più dignità dei vincitori, diceva Malaparte riferendosi alla Storia, ma il discorso vale anche, cristianamente, per l'individuo, che mai rassomiglia a un essere umano quanto nella sofferenza.
In realtà, anche se la tensione si percepisce a ogni pagina, in Scuola di solitudine non c'è romanzo, se per romanzo si intende
l'epopea borghese di un eroe che trionfa sui suoi limiti. Questa ipocrisia, che altri chiamerebbe ottimismo o slancio vitale, Dentello la risparmia al lettore, e non è l'ultima delle ragioni per le quali gli siamo grati.
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