Se una maledizione può interrompere la caccia al tesoro

Altro che manovra fiscale, stangata economica, tagli sanguinosi ai pubblici servizi. Per ripianare il bilancio in apnea, un plenipotenziario delle finanze dovrebbe arruolare il più abile e spregiudicato cacciatore di tesori sulla piazza. Poi, però, dovrebbe garantirgli una patente "di corsa", come ai tempi eroici di Francis Drake, il corsaro della grande Elisabetta, che aveva man salva nel ripulire i convogli nemici carichi di beni, a vantaggio della corona. A queste condizioni, l'ipotetico predatore, baciato dalla fortuna, potrebbe mettere le mani su qualcosa come quindici miliardi di euro, se non di più, l'equivalente di un anno di lacrime e sangue per il portafoglio dei contribuenti. Sembra fantafinanza, ma è realtà di questi giorni. In un tempio ligneo induista del Kerala, stato dell'India sudoccidentale, i cercatori (sette, tra guardiani del santuario e archeologi) hanno rinvenuto un deposito di smeraldi, oro, manufatti preziosi e monete napoleoniche, del valore complessivo stimato in mille miliardi di rupie. Il Kerala era un crocevia commerciale fiorente: spezie, sandalo, perle, diamanti transitavano da qui, per far vela verso le aristocrazie d'Europa. I Maharaja di Travancore, signori del tempio, drenavano tributi. I pii mercanti devolvevano offerte votive alla divinità, Sri Padmanabha, nome locale di Vishnu, presente anch'egli nel tesoro in forma di statua d'oro massiccio. Fa riflettere che nell'era del sapere globale, di internet, e di satelliti onniveggenti si possano ancora registrare sorprese archeologiche di questa portata. C'è speranza, e un sacco di lavoro, per eventuali predatori di bottini misteriosi. Per esempio, ritrovare la camera sepolcrale di Qin Shi Huang Di, primo imperatore della Cina, noto per l'esercito di terracotta che ne protegge il sonno eterno, a Xi'an, nella provincia di Shaanxi. Le fonti storiche ci dicono che è una sala immensa, con pareti di bronzo che racchiudono un intero mondo in miniatura. Il gruzzolo più consistente sarebbe il sistema fluviale di quest'impero sepolcrale, in cinabro, cioè solfuro di mercurio, un attivatore energetico capace di regalare l'immortalità. Quanto varrebbe, sui mercati, questo elisir di eterna vita? Nessuno lo saprà mai, anche perché le autorità cinesi hanno posto i sigilli sul sito archeologico. L'ha forzato - ma solo nell'immaginazione creativa - la scrittrice spagnola Matilde Asensi, nel suo avventuroso "Tutto sotto il cielo", un titolo che rimanda all'antico nome della Cina. I protagonisti penetrano nella tomba dell'imperatore che eresse la Grande Muraglia. Ma rimane, appunto, una fantasia letteraria. La chimera più ambita resta l'El Dorado. Nel 2010, foto satellitari hanno registrato resti di antichi insediamenti ai confini tra Bolivia e Brasile, nell'abisso amazzonico. Sono le reliquie di quel mitico eden, dove la ricchezza più opulenta non era l'oro e gli smeraldi a profusione, ma l'armonia politica tra gli abitanti? È tutto da confermare. Conquistadores e archeologi di ogni tempo hanno battuto l'America, dalla Florida alla leggendaria Cibola, dove secondo Francisco Vazquez de Coronado si celavano le sette città, tutte edificate nel metallo giallo. La lista dei tesori fantasma è lunga e ghiotta. Per secoli si è cercato senza risultato quello di Alessandro il Macedone. Bisognerebbe scoprire prima dove è sepolto il suo corpo, chiuso nella bara di cristallo che dovrebbe conservarne intatte le fattezze. L'ipotesi più accreditata vuole il sepolcro ad Alessandria d'Egitto, la metropoli da lui fondata per eternare la sua gloria personale. Ma c'è chi affonderebbe la pala nelle sabbie di Babilonia. Il mistero è blindato. Come quello che avvolge l'immenso bottino che avrebbe accompagnato nell'aldilà uno dei conquistatori più feroci, Gengis Khan, l'uomo che unificò le tribù mongole, creando dal nulla un impero che includeva il Regno d'Oro dell'epoca, la Cina. Ma lo scaltro condottiero non volle per sé vistosi mausolei, che hanno la cattiva abitudine di attirare come magneti i predatori di tombe. Si fece seppellire nella foresta impenetrabile dei monti Kentei, dov'era nato, sotto le fronde di un larice anonimo. Con lui riposano gemme e manufatti d'arte. Nemmeno l'Indiana Jones più agguerrito può indovinare, tra le migliaia, l'albero sotto cui conficcare il piccone. C'è chi ha saputo far fruttare il tesoro segreto con la penna e la fantasia, costruendoci sopra un best seller d'azione, come "Il tesoro di Gengis Khan", di Clive Cusserl. Secondo lui il bottino è a Xanadù, tra le sabbie roventi del Gobi: archeologia improbabile, ma location esotica perfetta per le gesta dei suoi eroi immaginari. Galeoni sommersi lungo le rotte atlantiche con le stive straripanti di dobloni: ecco un altro sprone per i cercatori. Quanto al tesoro del tempio indiano, le notizie si accavallano. I media locali riferiscono che le autorità hanno imposto subito l'alt allo scavo. Gli esploratori hanno dissepolto un serpente bronzeo di guardia all'architrave della cella: un segnale d'allarme, maledizioni in vista, secondo lo scrupolo religioso del posto.

Non sarebbe la prima volta che su un tesoro antico aleggia l'incubo, come ben sa chi crede nella maledizione dei faraoni. Lo scoop, però, è un altro. Il palazzo reale ha fatto sapere che rinuncia a qualsiasi pretesa sul tesoro, pur essendone il depositario: a goderne, in eterno, sarà la divinità. Questa è saggezza antica da prima pagina.

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