Ognuno di noi, almeno una volta nella vita, avrà detto «Ah se non avessi fatto questo o quello le cose sarebbero andate diversamente»: se avessi dato una risposta invece di un’altra, se fossi partito un’ora prima o solo cinque minuti dopo, se avessi o non avessi incontrato quella persona, se fossi o non fossi entrato in quel luogo, se avessi o non avessi comprato quella cosa, se fossi arrivato in anticipo o in ritardo a un appuntamento, se mi fossi o non mi fossi fermato al semaforo, e così via. La nostra vita è determinata spessissimo non da unici e determinanti eventi, ma da una serie pressoché infinita di piccole scelte, una sola delle quali è sufficiente a decidere l’indirizzo della nostra esistenza: in una lunga sequenza del film Lo strano caso di Benjamin Button di David Fincher (2008) si assiste a una serie di minuti eventi che potevano e non potevano benissimo accadere, ma che una volta accaduti hanno come conclusione un incidente (un taxi investe una donna) che avrebbe potuto non verificarsi se solo uno dei precedenti fatti non si fosse a sua volta verificato interrompendo la catena (una telefonata, una scarpa slacciata, un semaforo rosso ecc.). Lo stesso accade in sintesi nel precedente Sliding Doors di Peter Howitt (1998), dove prendere o perdere una corsa della metropolitana cambia completamente l’esistenza della protagonista.
Se questo accade nella vita di ognuno di noi, figuriamoci quel che accade nella complessa trama della Storia: basta che una piccolissima decisione, parola, fatto non avvenga o avvenga in un modo diverso perché le cose possano andare diversamente. E Se la storia fosse andata diversamente è proprio il titolo dato nel 1999 dal Corbaccio per la traduzione della prima storica antologia di questo tipo (What if? del 1931) da me curata e che ha fatto scoprire in Italia ai lettori e ai critici non specialisti l’esistenza di un particolare genere di narrativa, la storia alternativa o anche ipotetica o anche controfattuale, che ha però anche un nome più altisonante: ucronia (non-tempo, come utopia è non-luogo) coniato nel 1859 da Charles Renouvier, un filosofo francese totalmente inviso a Benedetto Croce e invece apprezzatissimo da un anticrociano come Adriano Tilgher.
Il perché è presto detto: l’ucronia mette in discussione il fine predeterminato della Storia, il suo avere uno scopo intrinseco (e in ogni caso positivo), un suo finalismo imperscrutabile, l’accettazione dunque del Fatto Compiuto inteso come il leibniziano «migliore dei mondi possibili». Se invece un piccolissimo evento (un «sì» o un «no», l’aver girato a destra o a sinistra, l’aver detto una parola interpretata male eccetera) può modificare radicalmente il corso della Storia con la «S» maiuscola, non vuol dire altro che questa ineluttabilità intrinseca della Storia medesima non esiste, ed essa non può essere più in quanto Fatto Compiuto un feticcio da adorare secondo la filosofia hegeliano-marxista.
Ora, nell’ultimo decennio la storia alternativa ha avuto in Italia un’ampia diffusione con romanzi e antologie, specie se ambientata nel Bel Paese: troppo gustoso poter cambiare le nostre vicende nazionali, molto lontane e molto vicine, per non essere allettati dall’idea. Ma scrivere storia alternativa non è così semplice come può sembrare d’acchitto: per non cadere nella faciloneria o nella demagogia, nel grottesco o nel ridicolo non si può andare a ruota libera, ma occorre invece (non paia un controsenso) seguire da presso la Storia, quella vera, per poi allontanarsene in modo verosimile: la ricostruzione dell’ambiente e di personaggi «veri» è essenziale: le assurdità fanno altrimenti cadere miseramente la trama.
Uno degli autori italiani che con maggiori risultati si è dedicato a questo genere è Mario Farneti il quale, partendo da un suo racconto del 1999 ha sviluppato una trilogia di romanzi (Occidente, 2001; Attacco all’Occidente, 2003; Nuovo Impero d’Occidente, 2006, tutti editi dalla Nord) che in milleduecento pagine complessive riscrive la storia italiana e occidentale dal 1972 al 2012 con l’Italia che non è entrata nel secondo conflitto mondiale ed è diventata la nazione egemone come oggi sono gli Stati Uniti. Ora Farneti torna in libreria con il primo romanzo di una diversa trilogia: Imperium Solis (Nord, pagg. 454, euro 18,60) che abbandona la contemporaneità e porta il lettore nell’antico mondo mediterraneo del IV secolo d.C. quando, durante la battaglia di Ctesifonte (26 giugno del 363), s’infranse il sogno imperiale di Flavio Claudio Giuliano ucciso nel corso di una battaglia contro i Parti, in una desertica piana dell’attuale Irak. Questo ci dice la Storia, mentre nell’ucronia di Mario Farneti l’imperatore Giuliano non muore, viene creduto (e si fa credere) morto e intraprende una vera e propria missione divina: andar lì dove il Sol Invictus di cui è devoto va a concludere il suo splendente tragitto giornaliero. Egli parte dunque verso l’Estremo Occidente con le sue navi e le sue legioni, ma anche con i suoi sacerdoti, filosofi, scienziati, geografi e storici, per approdare sulle sponde della leggendaria, immensa isola di Meropide. Si troverà al cospetto di quelle che mille e cento anni dopo Cristoforo Colombo chiamerà le Indie Occidentali, che ovviamente acquisirà all’Impero di Roma facendo prendere alla Storia del mondo in generale e dell’Europa in particolare un corso diverso, come anche si vedrà nei romanzi che seguiranno.
La trama che Farneti, bravissimo in ciò, offre al lettore non è ovviamente così lineare: anzi è molto complessa, ricca di trovate, colpi di scena, personaggi maggiori e minori che appaiono e scompaiono, nonché di veri tour de force linguistici con originalissime soluzioni. In Imperium Solis si mescolano avventura e storia, religione e magia, ipotesi plausibili anche se improbabili ma non impossibili, al punto che ci si chiede perché in fondo gli eventi non siano andati effettivamente come Farneti ce li racconta. Inoltre, alcune dettagliate cartine ci aiutano a capire gli spostamenti, certe volte frenetici, dei principali personaggi nel Vecchio e Nuovo Mondo.
Non mancano l’ironia e l’autoironia quando l’autore legge in filigrana la Storia reale e il lettore avveduto, accorgendosene, non potrà che sorprendersi. Magari penserà in alcuni momenti che si tratti di esagerazioni, ma è sufficiente andare a controllare la conclusiva «Nota dell’Autore» per rendersi conto che molti particolari che pensava totali invenzioni in realtà hanno punti di riferimento storici o scientifici ben saldi. Spesso sconosciuti o inaspettati, ma documentatissimi. Infatti solo una vasta opera di informazione, come dimostra la bibliografia del romanzo, poteva evitare clamorosi errori.
L’arrivo degli antichi romani in America era stato descritto anche da romanzieri statunitensi, ma ne erano usciti romanzetti di poco spessore: con Imperium Solis ci troviamo invece di fronte a un vasto affresco, quasi onnicomprensivo, che tenendo conto delle specificità dei popoli all’epoca esistenti nel Nuovo Mondo e della specificità della gens romana, riesce a darci una storia leggibilissima e avventurosa, divertente e seria, affatto superficiale e ricca di spunti culturali che ci fanno riflettere.
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