Se la sinistra insulta il Colle nessuno grida allo scandalo

Negli anni ’70 la stampa rossa e il Pci lanciarono una crociata contro Leone che si dovette dimettere. Poi è toccato a Cossiga. E nemmeno la Dc li difese

Roma E va bene che lo han fatto santo subito, a furor di popolo democrat, ma è mai possibile che non si possa più dir nulla sul presidente Giorgio Napolitano, non dico sparargli a pallettoni (nel senso metaforico, s’intende) ma nemmeno pronunciarne il nome invano, senza rischiare l’anatema e il rogo degli eretici? Un muro di turiboli e altari s’è improvvisamente innalzato a sinistra ma anche da bastioni di destra, per proteggere non solo dalle critiche ma persino dalle crude notizie e finanche dagli sbuffi che salgono dal basso. Evviva la sacralità delle istituzioni, democratiche ovviamente, ma vi pare che se un giornalista s’azzarda a scrivere dei passi più o meno falsi e più o meno vellutati compiuti sul Colle, scattino le accuse di sacrilegio, attentato alla democrazia e regicidio? Passi per i politici e anche per il premier che corrono i rischi del loro mestiere, ma in barba alla libertà di stampa i defensor fidei son pronti alla crociata. Sinistra in prima fila, come le tricoteuses sotto la ghigliottina. Ma solo questo capo dello Stato è santo, sacro e intoccabile. Perché lor signori hanno già dimenticato quante ne han dette e fatte all’indirizzo di Francesco Cossiga o di Giovanni Leone.
Di certo è bizzarra, se non inquietante, questa levata di scudi e di sepolcri imbiancati impegnata a lapidare chiunque osi aprir bocca, più ancora che a difendere l’onore di Napolitano. Perfino Tonino Di Pietro s’è scoperto senza peccato e ora invoca «basta critiche», lui che sferzava il Colle con accuse di viltà e silenzi mafiosi. Non c’è più pudore signora mia, e va bene che Sant’Antonio Abate secondo la tradizione popolare s’era innamorato del porcello che nelle icone gli sta sempre al fianco, ma questa sinistra nostrana non potrebbe essere più cauta negli innamoramenti e nelle canonizzazioni, o almeno più sobria nello scatenar la caccia alle streghe? Nemmeno se su questo giornale qualcuno avesse scritto che Giorgio Napolitano ha chiesto scusa con troppi anni di ritardo, per aver benedetto nel 1956 i carri armati sovietici in Ungheria. O che non ha ancora ammesso l’errore di aver strenuamente lottato contro l’installazione degli euromissili a Comiso vent’anni fa.
Che cosa sia stato scritto di così offensivo e dissacrante sul Quirinale in questi giorni, lo sanno solo Di Pietro e Rosy Bindi. Ma certo è da far rivoltare nella tomba Giovanni Leone, costretto a dimettersi come un ladro, su richiesta esplicita del Pci non ancora Pds, Ds, Pd, nel giugno 1978. Lo stavano massacrando da tre anni, anche allora l’Espresso e l’Unità andavano come carri armati, Camilla Cederna che guidava la campagna era venerata come la pulzella d’Orleans. Usciva di tutto, contro quel grande e mite avvocato. Non solo che era lui l’Antelope Cobbler che aveva intascato le tangenti della Lockheed, cosa che poi si rivelò del tutto infondata, ma pure dossier dei servizi segreti sulla moglie. Per non dire dei figli, descritti come dissipatori e gaudenti, rampolli che avevano trasformato il Quirinale in un palazzo di festini e bagordi. Un mare di menzogne e di infamie che ha distrutto un uomo e la sua famiglia. Il suo partito, la Dc, non lo difese e non gli diede nemmeno la possibilità di difendersi. Furono i figli a querelare la Cederna, che fu infine condannata. Troppo tardi per Leone, però. L’onore glielo hanno ridato il 3 novembre del ’98, quando compiva i 90 anni, in una solenne cerimonia a Palazzo Giustiniani. Pannella e la Bonino gli chiesero pubblicamente scusa, per gli attacchi di vent’anni prima. Il Pci non c’era più, come la Cederna, morta un anno prima. Ma non risulta che l’Espresso e l’Unità abbiano fatto ammenda.
E Cossiga, vogliamo dimenticare Cossiga? Ma se lo volevano addirittura processare in Parlamento! Agli atti c’è ancora il dossier con tutte le «denunce» a sua carico, presentate in prima fila dagli onorevoli Nando Dalla Chiesa, Sergio Garavini e Ugo Pecchioli. E indovinate da chi è firmata la proposta di messa in stato di accusa «per attentato alla Costituzione» presentata il 28 gennaio 1992? Dal deputato Anna Finocchiaro Fidelbo.

Sinistra Dc e Pci/Pds davano al presidente Cossiga del «bugiardo» perché difendeva Gladio, «infame» perché non copriva le colpe di Togliatti sui nostri imprigionati in Russia, «demagogo» perché parlava, e «da affidare a cure psichiatriche» perché non obbediva. Altro, che santo subito.

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