Sheva & Kakà il Milan allontana subito i fantasmi

Il Diavolo risolve in un quarto d’ora la pratica Lazio con due reti del Pallone d’oro e del brasiliano. Ma i romani gli facilitano il compito

Franco Ordine

da Milano

Bello e vincente, il Milan di notte. Solo di notte vince e si toglie qualche sfizio. Così col Siena, col Fenerbahce e con la Lazio, tre successi arrivati sotto i riflettori di San Siro. In casa, quindi. Altro particolare da non trascurare. Ma forse c’è un dato tecnico che riluce in una sera di modesta ispirazione: per una volta, dopo undici turni consecutivi tra le due stagioni, la difesa milanista non prende gol. Accadde contro il Psv, nell’andata della semifinale di coppa Campioni. Si ripete questa volta e chissà che non sia un segnale di qualche valore, l’inversione della tendenza negativa emersa nelle passate settimane. Il gol non è mai un problema del Milan, come dimostra la sua partenza felice di ieri sera. È custodire in cassaforte il vantaggio che procura semmai qualche tormento. Vedremo a Padova, contro il Treviso, domenica prossima. Di giorno, si sa, è un altro Milan.
Sembra tutto così facile da non risultare vero. In due-tre minuti il Milan risolve la pratica e mette due gol sulla schiena della Lazio malcapitata. Il primo sigillo è un ricamo prezioso di quell’artista dal nome famoso e celebrato, Andrji Shevchenko. Basta lasciargli uno spazio di un metro quadrato in area per consentirgli una piroetta, un dribbling stretto su Stendardo, chiuso poi da una saetta nell’angolo vicino che lascia di sale Sereni, il sostituto di Peruzzi. Il secondo squillo di tromba rossonera è una trama di quelle che fanno la fortuna degli attaccanti: Cafu e Pirlo armeggiano sulla destra, il cross viene sbavato da Liverani, così sia Vieri che Sereni risultano sbilanciati mentre Kakà sbucato da chissà dove, sulla linea, deve solo appoggiare in rete. Al gong del quarto d’ora il Milan si ritrova sopra di due reti e la Lazio sotto: per la prima volta dall’inizio del suo campionato, ecco l’occasione più comoda per vivere una serata allegra e spensierata. Non mancano in verità le solite amnesie difensive: per esempio, dalla parte di Cafu, che pure non si avventura nelle tradizionali percussioni da autentica ala, Zauri riesce a infilarsi, approfittando anche dell’incertezza di Nesta, ma poi alla presenza di Dida s’impappina.
Il Milan non chiude bottega, bisogna dirlo. Insegue il gol del 3-0 che serve a togliere ogni storia alla sfida del rilancio, avvenuto come un anno fa di questi tempi, sempre con la Lazio. Allora prese le mosse all’Olimpico, con l’inferiorità numerica dei rossoneri (Ambrosini espulso), qui invece risulta decisa da un paio di stoccate e meritata attraverso le successive perfomances di Shevchenko e Kakà, i più decisi nei contrattacchi che mettono alla prova il colpo d’occhio e anche la bravura di Sereni. Non raccoglie citazioni Bobo Vieri e non per un complotto demoplutocratico: da segnalare solo una rovesciata, troppo poco per meritare una sufficienza in pagella e per giustificare la scelta dell’allenatore.
La Lazio sembra inseguita dalla sua fragilità e anche da una dose di sfortuna. Alle prime spallate, prende gol e si ritira in buon ordine: i sette punti in classifica appaiono un merito eccessivo rispetto alla cifra tecnica della squadra di Delio Rossi. Verso il finale, dopo una sola unghiata (Oddo chiama Dida all’appello), i laziali restano anche in dieci: Baronio, entrato al posto di Liverani per dare nuova linfa alle giocate, deve farsi da parte per un insulto muscolare lasciando i suoi in inferiorità numerica, addirittura.


I famosi cambi di Ancelotti a ritmo di tango argentino, lenti insomma, arrivano con l’avanzare dei minuti e con la fine delle ostilità. Gattuso, Costacurta e Serginho timbrano il cartellino e scaldano i muscoli. Sarà per un’altra volta.

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