Ci fu un periodo in Giappone in cui l'imperatore era poco più che un fantoccio nelle mani dei generali, in cui il numero dei samurai a disposizione era l'unico parametro della forza di un nobile, in cui le battaglie a colpi di katana erano all'ordine del giorno. Era il periodo de «I sette samurai» di Kurosawa e di «Inuyasha» di Takahashi. Era l'epoca Sengoku (periodo degli stati combattenti). Ed è l'epoca di «Shogun 2: Total War».
L'ultimo capitolo della fortunatissima serie dei maghi britannici della The Creative Assembly (pubblicato da Sega e distribuito in Italia per la piattaforma pc da Halifax - gruppo Digital Bros) ci porta nel infatti nel Giappone del XVI secolo. Ideale seguito del primo capitolo, quello «Shogun; Total War» da cui quasi undici anni fa tutto ebbe inizio, «Shogun 2: Total War» continua il percorso di eccellenza della serie, miscelando ancora una volta le caratteristiche di un videogioco tattico in tempo reale (durante le battaglie) con il sistema di strategia a turni. Il tutto sempre con una grande attenzione - aspetto in verità non comune nel mondo videoludico - per la storia: come già fece per il primo capitolo, Creative Assembly si è servita della collaborazione dell'esperto di storia e tradizioni giapponesi Stephen Turnbull, titolare della cattedra di Religione giapponese alla Leeds University.
E se dal punto di visto «geografico» i guru di The Creative Assembly, limitando l'area di gioco al «solo» Giappone hanno fatto un mezzo passo indietro (dopo i fasti dei capitoli «Empire» e «Napoleon», che ambientavano le battaglie quasi nel mondo intero) dal punto di vista grafico e gestionale il prodotto si presenta invece fortemente innovativo, con una giocabilità che vede completamente riscritta la parte bellica e che propone una radicalmente nuova veste multiplayer. Non solo: «Shogun 2: Total War» lambisce anche i canoni del gioco di ruolo, con la possibilità di «far crescere» i propri generali nel prosieguo della partita, facendogli acquisire tratti diversi a seconda dello svolgimento della campagna. Perché la punta di diamante di questo capitolo è paradossalmente slegata dal livello strategico puro: è la gestione dei personaggi (dai generali ai semplici soldati): prendendo spunto dalla spiccata cultura dell'onore che caratterizza il Sol levante, i programmatori hanno implementato tra i vari personaggi rapporti interpersonali complessi e multi livello. Le sconfitte in battaglia causano una abbassamento drastico della fiducia dei soldati, abbassandone disciplina ed efficacia sul campo di battaglia, mentre le vittorie ne aumentano le abilità. I graduati poi saranno gratificati da incarichi importanti (aumentano fedeltà e pericolo di tradimento) mentre un abbassamento di grado o addirittura la rimozione da un comando potrebbe addirittura portare al suicidio rituale.
Unico tratto simile di «Shogun 2: Total War» con i giochi di strategia concorrenti? La fine: anche qui il giocatore deve portare al predominio la propria nazione.
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